
“Nella storia umana non era mai capitato che gli educatori si imbattessero in una sfida paragonabile a quella rappresentata dalla svolta attuale. Semplicemente, non ci eravamo mai trovati in questa situazione prima d’ora. L’arte di vivere in un mondo più che saturo di informazioni dev’essere ancora appresa. Proprio come quella, ben più ardua, di preparare gli esseri umani a vivere una tale vita.” (Zygmunt Bauman)



“Dobbiamo porre l’apprendimento permanente al centro di tutto il nostro lavoro per creare una società della conoscenza inclusiva. Questo è il modo per sbloccare il potenziale di ogni comunità. Questo è il modo per indirizzare tutti gli sforzi a realizzare uno sviluppo sostenibile. Le città hanno qui un ruolo unico da svolgere.” (Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO)
*Traduzione e adattamento di Giovanni Fioravanti da “Cork Call to Action for Learning Cities “ by Unesco Institute for Lifelong Learning
https://d14ujlzb3m57xe.cloudfront.net/sites/default/files/cork-call-to-action_final-draft.pdf


*Conferenza tenuta il 31 gennaio 2019 alla Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea di Ferrara

Educazione è parola complessa che usiamo per differenti contesti, abbraccia una vasta gamma di territori, ciascuno dei quali richiederebbe di essere presidiato.
Educazione non è solo l’istruzione che viene impartita nelle aule scolastiche. La scuola, infatti, costituisce solo una piccola parte degli strumenti di cui una cultura dispone per iniziare le giovani generazioni alle sue forme canoniche, anzi, può addirittura entrare in collisione con questi.
Educazione richiama pedagogia di cui una volta era fedele ancella e, a sua volta, la pedagogia lo era della filosofia. Oggi la pedagogia è fuori dai nostri orizzonti.
Non ci sono weltanschauung, visioni del mondo che vengono prima delle persone, dell’individuo e della sua vita, su cui forgiare l’alunno. Anche la pedagogia, con l’avvento delle scienze umane ha vissuto la sua stagione di “pedagogia della liberazione”, nel senso di liberiamoci della pedagogia.
Neppure nella letteratura scolastica torna più la pedagogia, la scuola è “l’ora di lezione”, l’educazione si propone come “Gaia”, “Libertaria”, “Incidentale”, “oltre le mura”, non è la pedagogia a pensare “grande” ma “I bambini pensano grande”, l’educazione è “Free to learn” o “Insegnare al principe di Danimarca” fino a “Senza insegnanti”. Sebbene ancora qualcuno in tutto questo, con l’aggiunta del 2.0, paventi i rischi di una scuola senza “educazione”. Lontani dal pensare che il vero rischio che corriamo potrebbe essere quello di trovarci in una scuola senza istruzione o con un’istruzione che non serve.
Era il 1906, agli albori del secolo scorso, quando in Italia veniva pubblicato, con enorme successo, Il secolo del fanciullo in cui stava scritto che ”Il vero segreto dell’educazione consiste nel non educare”. L’autrice, Ellen Key, scrittrice svedese, precorritrice della Montessori, conosciuta da Vygotskij, ebbe molta influenza in Europa per l’educazione dell’infanzia, per la sua nuova concezione del bambino e per l’idea che bisogna costruire un ambiente su misura del bambino. Il bambino deve diventare il centro di tutte le politiche sociali, bisogna dare attenzione ai bambini per pensare ad un’umanità nuova.
Il libro si apre con una celebre citazione tratta da Così parlò Zarathustra di Nietzsche ed è dedicato «ai genitori che sperano di educare l’uomo nuovo».
Una umanità nuova. Ogni generazione porta con sé questa responsabilità di lavorare per un’umanità nuova. L’educazione che lavora su modelli da riprodurre non ce la può fare.
Dieci anni prima del libro della Key, John Dewey scriveva: “Ciò che desiderate per i vostri figli lo Stato deve desiderare per la scuola. Cos’è che i genitori più attenti e più assennati vogliono per i propri figli? Ecco, questo è quello che la comunità deve volere per tutti i suoi cittadini”. E aggiungeva: “Ogni individuo ha un potenziale di grandezza e merita l’opportunità di crescere, svilupparsi e contribuire pienamente alla società.”
Ciascuno è un valore, ciascuno è una risorsa, ciascuno è una opportunità per l’umanità intera.
Ma l’educazione presuppone sempre che per come sei fatto non vai bene, devi essere corretto, conformato. Così come sei non puoi essere considerato una risorsa, è necessaria la rettifica affinché il motore possa funzionare.
E gli insegnanti storicamente sono stati chiamati a questa missione correttiva delle nature umane. Per Rousseau il maestro è il guardiano e il custode del bambino dalla corruzione e dalle influenze cattive. Per Tolstòj deve essere un uomo virtuoso che trasmette il suo esempio personale al bambino. Per la filosofia ascetica l’educatore è colui che mette in atto i precetti: “Piega la volontà del tuo bambino affinché non si perda.”
L’educatore francese Valentin Haüy, impegnato con i giovani non vedenti, pensa che il maestro debba essere un ipnotizzatore in grado di sottomettere a sé la volontà altrui. L’educatore di Froebel e di Pestalozzi è un giardiniere dell’infanzia e secondo Pavel Blonskij è un ingegnere di antropotecnica o di pedotecnica, un tecnico della “cultura dell’uomo”.
Da un lato la crescita biologica e dall’altro l’educazione che non si incontrano mai.
Invece il significato etimologico di “crescere” è creare: ognuno crea se stesso. Ognuno è l’autore di se stesso, sebbene non possa sottrarsi ai condizionamenti della cultura in cui si forma, ma può essere attrezzato per difendersene, per scegliere e tutelare la propria libertà.
Hannah Arendt osserva che l’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, ed è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.
In realtà ogni adulto dovrebbe essere il testimone responsabile di questo mondo di fronte alle giovani generazioni.
L’educazione è l’ingresso nella cultura. Nascendo al mondo noi entriamo nella cultura, attraverso un processo di continuo adattamento, di constante ricerca di un equilibrio tra noi e il fuori di noi, come ci ha spiegato Piaget.
La nascita è la chiamata, compiuta dei nostri genitori, a divenire attori della cultura, a prenderne il testimone e a continuarne la narrazione.
È a scuola che apprendiamo a leggerne e a scriverne le pagine. Per questo nessuno può appropriarsi della scuola, perché quella narrazione appartiene a tutta l’umanità che l’ha composta e che continua a comporla dai vari luoghi del pianeta.
L’ingresso nella cultura è appropriarsi della sua narrazione, non per assuefarsi od adattarsi ad essa, ma per proseguirla.
Non ci sono recinti di certezze in cui rinchiudersi, modelli a cui uniformarsi. Crescere, apprendere ed istruirsi per divenire cittadini della cultura anziché sudditi di una cultura.
Significa partecipare della narrazione compiuta dagli uomini e dalle donne su questa Terra prima di noi, con i suoi miti e i suoi simboli. Cultura che è camminare per la strada della conoscenza, quella strada che ha i punti di sosta ma manca dei punti di arrivo, per questo è una strada che di generazione in generazione prosegue.
Allora la scuola è comunità di destino, destino sempre in viaggio verso il futuro, verso quello che non è conosciuto o che credevi di conoscere, ma non si presenta più come prima. È il luogo del discorso con l’altro, il luogo in cui si iniziano a dare risposte alle domande: “Chi sono io, e chi sei tu?”
A scuola si impara ad imparare, a ricordare, a parlare, a immaginare, a prendere familiarità con i codici culturali, la vita mentale viene vissuta con gli altri. “La cultura” plasma la mente, ci fornisce l’insieme degli attrezzi mediante i quali costruiamo non solo il nostro mondo, ma la concezione di noi stessi e delle nostre capacità.
Nella società della conoscenza non sono i luoghi dell’educazione a mancare, ma i luoghi dell’apprendimento e dell’istruzione, della creazione e della negoziazione dei significati, la costruzione dell’identità e il senso dell’azione personale, l’acquisizione delle abilità simboliche e soprattutto la collocazione culturale di tutta l’attività mentale.
La scuola deve tornare ad essere il luogo dei “temerari della ricerca”, per dirla con Nietzsche, dove si compie il lungo cammino per diventare se stessi. Perché è questa l’essenza della cultura. Ognuno è “un unicum” irripetibile nella storia. Il luogo in cui si esce dalle gabbie dell’educazione per “forzare le gabbie mentali”. L’esercizio dell’apprendimento come liberazione dalle proprie pastoie anziché mero esercizio per fornirsi di membra artificiali, di nasi di cera, di occhi occhialuti.
A scuola è la narrazione della cultura accumulata dall’umanità che continua, affinché la ragazza e il ragazzo, che oggi impiegano il loro tempo migliore sui banchi di scuola, un giorno esplorino il mondo ancora nascosto ai nostri sensi. Siano il neurofisiologo che tenta dei decifrare i meccanismi del cervello inaccessibili all’analisi diretta, l’astronomo che descrive galassie remote, il fisico che studia particelle invisibili, il matematico che indaga le dimensioni quarta, quinta, quelle inimmaginabili e apparentemente impossibili.
La scuola delle donne e degli uomini che vanno oltre, la scuola che in ognuno cura il genio, l’intelligenza necessaria a continuare la narrazione dell’umanità.
*L’immagine in testa all’articolo è un’ opera dell’artista Mike Ciafaloni



Aperto nel 2015, Summit Sierra è una scuola charter all’interno della Summit Public Schools nel distretto internazionale di South Seattle. La scuola oggi conta 200 iscrizioni, con classi del nono, decimo e undicesimo grado. Ogni giorno, ragazze e ragazzi leggono per 30 minuti, per 30 minuti risolvono problemi di matematica, seguono corsi online, parlano con il loro consigliere e tutor che li guida nei percorsi di apprendimento che ognuno ha scelto per sé e gestisce in funzione degli obiettivi che si è dato per il lavoro e per la vita. Durante il “Tempo di Comunità” si incontrano con gli altri studenti per parlare e condividere sentimenti, aspirazioni, interessi.
358 studenti delle scuole superiori sono incoraggiati a collaborare in ambienti aperti, senza aule e classi precostituite, i ragazzi apprendono a riflettere in modo flessibile su argomenti che variano nel corso della loro esperienza scolastica, fanno ricerca e lavorano insieme per risolvere problemi reali. Spazi aperti e scuola aperta in relazione con il mondo esterno, per un ambiente di apprendimento più rilassato, nel quale gli studenti svolgono un ruolo attivo nella propria istruzione. Gli studenti si dividono in gruppi e formano classi improvvisate, a volte con insegnanti per guidarli, con l’obiettivo non solo di ricevere conoscenze, ma di avere il modo di trasformare le conoscenze in azione.
Island, è che gli studenti apprendono nel mondo reale. Il sistema è attualmente attivo in 55 scuole a livello nazionale. Il modello Big Picture Learning abbatte i muri tra l’istruzione e il mondo del lavoro. Fin dall’inizio, gli studenti dalla scuola dell’infanzia alle superiori, apprendono che le loro passioni e la loro creatività vengono prima di tutto. Per aiutare ad alimentare le loro attitudini, gli studenti sono accoppiati con mentori che operano nei campi in cui gli studenti un giorno vorrebbero entrare e ognuno di loro realizza così progetti che sono collegati ai propri interessi.
A San Francisco, in California, la AltSchool è la scuola della Silicon Valley. Con il motto “Rendere l’apprendimento visibile per studenti, insegnanti e genitori” offre una piattaforma per costruire curricoli su misura, stabilire unità e compiti per ogni studente in base agli obiettivi personali di ciascuno. La AltSchool è il completo abbandono dell’istruzione tradizionale con i test standardizzati: curricoli flessibili e una piattaforma per l’apprendimento personalizzato.
Tutto ciò che è convenzionale per una scuola, qui è lasciato fuori della porta. La scuola respira dello stesso respiro di ogni studente. Ciascuno ha il suo piano di sviluppo individuale (IDP) che viene valutato e riadattato ogni sei settimane dallo studente, dai suoi genitori e dall’allenatore, la scuola non li chiama “insegnanti”. Sulla base del risultato dell’IDP, ad ogni studente vengono offerte nuove sfide di apprendimento personale e momenti di istruzione tra cui scegliere.
La scuola che insegna pericolosamente, lanciata dal visionario Gever Tulley nel 2011, è la Brightworks di San Francisco, in California. Prendete alcune delle cose più pericolose che i genitori dicono ai loro figli di non fare e fatene un intero curricolo. Qui gli studenti, tra i gradi dal K al 12esimo, si sporcano, giocano con il fuoco, smontano elettrodomestici e completano progetti artistici, tutti nello stesso giorno.
uffici. Conosciuta come The Learning Center, ci sono 300 cubicoli, uno per ogni studente, che ospitano un computer per guidare ciascuno nei suoi percorsi di apprendimento. Quello delle scuole Carpe Diem è un modello, dal terzo grado al dodicesimo, che negli Stati Uniti ha dato grandi frutti, perché ogni studente è diverso ed è necessario adeguarsi alle sue esigenze.



*Conferenza tenuta il 1 febbraio 2018 presso la Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea di Ferrara nell’ambito del ciclo di incontri “I colori della conoscenza”, organizzato dall’Istituto Gramsci e dall’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara.
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