TEORIE COGNITIVE E APPRENDIMENTO SCOLASTICO

Propongo i contenuti di un web seminar che ho tenuto sulle teorie cognitive e sulla psicologia dell’apprendimento, attrezzi indispensabili per chi intende insegnare.

I

L’interesse della psicologia per l’educazione e l’apprendimento risaIe agli inizi del secolo scorso, (con William James psicologo e filosofo statunitense) anche se noi in Italia dovremo attendere la seconda metà del secolo perché maturi un interesse reale per i risultati della ricerca psicologica. 

All’indomani della liberazione il colonnello Washburne, pedagogista statunitense, a capo della ricostruzione della scuola italiana, tentò nel 1945 di mandare 5 insegnanti della scuola elementare all’Università di Ginevra perché apprendessero le teorie di Piaget. 

Ma il progetto naufragò perché il governo italiano non aveva i soldi per pagare loro il viaggio e il soggiorno.

L’impostazione spiritualista della scuola italiana ha osteggiato il diffondersi delle conoscenze psicologiche almeno fino sul finire degli anni ’60.

In queste pagine parleremo del contributo alla didattica che può venire dalla conoscenza della ricerca psicologica sull’apprendimento e dalle teorie che ne sono derivate. 

Fin da quando veniamo al mondo tutta la nostra vita è apprendimento tanto che oggi parliamo di lifelong o wide learning. Di apprendimento permanente dalla culla alla tomba.

Perché l’apprendimento è ciò che ci consente di raggiungere e mantenere l’equilibrio tra noi e ciò che sta fuori di noi: l’ambiente.

Ciò ci deve far riflettere sull’importanza degli strumenti, sull’importanza che la scuola sia in grado di formare gli studenti ad apprendere ad apprendere, e di una didattica orientata in questo senso.

Iniziamo col cercare di condividere un comune concetto di “sviluppo”. Ognuno di noi crede di sapere cosa si intenda per sviluppo. Al termine sviluppo è connesso il cambio di stato,  ma sviluppo non è solo crescita, passaggio da una fase all’altra della vita.

Sviluppo è “cambiamento”. E questo del cambiamento è un fattore importante per chi esercita una professione nell’ambito dell’apprendimento. Come vedremo nel nostro excursus non si ha apprendimento se non c’è un cambiamento tra un prima e un dopo.

Allora ci rifacciamo alla definizione che ne dà Umberto Galimberti nel suo Nuovo Dizionario di Psicologia: “Processo evolutivo di un organismo con modificazioni di struttura, di funzione e di organizzazione per tre ordini di cause: maturazione intrinseca, influenza dellambiente e apprendimento che avviene assumendo una posizione attiva nei confronti dell’ambiente.”

Qui ci interessa sottolineare “la posizione attiva nei confronti dell’ambiente”, di tutti gli ambienti, compreso l’ambiente di apprendimento: la scuola e l’insegnamento.

È la posizione attiva nell’ambiente che consente di apprendere dall’ambiente, di organizzare le conoscenze e maturare le nostre funzioni superiori (ragionamento, memoria, attenzione, elaborazione delle informazioni).

La definizione di “sviluppo” ci consente di individuare due “fattori” responsabili della crescita di ogni persona: quello biologico, derivante dai fattori interni dell’organismo, e quello derivante dai fattori esterni all’organismo che costituiscono il panorama dei fattori ambientali.

Nella storia delle teorie della psicologia dello sviluppo e dell’apprendimento questi due fattori: quello endogeno e quello ambientale assumono rilevanze e pesi diversi a seconda delle correnti di pensiero.

Comportamentismo

Il comportamentismo con John B. Watson ha ricondotto lo sviluppo all’influenza dell’ambiente, senza riconoscere alcun condizionamento  di natura genetica e nessuna disposizione biologica o caratteristica individuale che ne indirizzi l’evoluzione.

Il Behaviorismo (essere per avere), il comportamentismo di Watson e Thorndike, con Skinner porta negli anni cinquanta alle prime tecnologie dell’apprendimento, alle teaching machines, negli Stati Uniti d’America, all’istruzione programmata fondata sulla triade “stimolo-risposta- condizionamento operante”.

La “learning theory” designa la tradizione associazionista degli studi sull’apprendimento. Si tratta sostanzialmente della sequenza tradizionale dell’insegnamento, basato sulla lezione che è lo stimolo, l’interrogazione che è la risposta, il condizionamento operante (rinforzo positivo o negativo) che è il voto.

Per il comportamentismo è l’ambiente che ha la centralità, come la gabbia dei topi di Thorndike o il suono del campanello per il cane di Pavlov.

Le caratteristiche e le storie individuali sono escluse. L’aula come luogo del condizionamento operante che avviene attraverso l’insegnamento. Potremmo dire l’aula come luogo di addestramento anziché di apprendimento come noi lo intendiamo oggi.

Cognitivismo

Il Cognitivismo non condivide l’impostazione meccanica dell’associazionismo e del comportamentismo imputando a questi ultimi di non tenere conto dell’importanza dell’ambiente sia individuale che esterno come fattore nel determinare lo stimolo e la risposta.

È lo psicologo statunitense Ulric Neisser a coniare il termine Cognitivismo alla fine degli anni 60.

Ma l’ambiente di Neisser è come il computer che elabora gli input per produrre gli output.

Neisser è il fondatore della HIP, della Human Information Processing.

Vale a dire la mente umana funziona come un computer, come un elaboratore sulla base di modelli di unità comportamentali chiamati TOTE: test-operate e test-exit.

Test: verifica lo stimolo

Operate: compie i cambiamenti per ottenere un risultato comportamento

Test: verifica i cambiamenti

Exit: quando si può uscire perché il test sui cambiamenti è soddisfacente.

Poniamo che io voglia sapere se la macchina del caffè è ancora calda:

Test: è fredda?

Operate: la tocco

Test: si è fredda

Exit: fine del TOTE

Vedremo come oggi il cognitivismo sia altro e abbia abbandonato l’HIP.

Per i cognitivisti si parla di apprendimento quando lo studente elabora le informazioni e in questo processo di apprendimento lo studente gioca un ruolo attivo. Il cognitivismo si ispira alla pedagogia di John Dewey e ha in Lev Vygotskij e Jerome Bruner i maggiori esponenti.

Il Cognitivismo è influenzato dalla Gestal, dalla psicologia della forma, dall’insight e dal problem solving, dal pensiero produttivo di Max Wertheimer, ma in particolare dalla Teoria del Campo che Kurt Lewin ha formulato agli inizi degli anni ’40 del secolo scorso, e che costituirà un punto di riferimento per tutta la successiva ricerca in campo psico-sociale sull’apprendimento.

La teoria di Lewin dice che ogni comportamento è funzione del rapporto tra persona e ambiente.

C = f (P,A)

ll comportamento è funzione sia di elementi personali che ambientali. L’agire umano  è espressione non di un soggetto nel contesto, ma di un soggetto e di un contesto in costante relazione.

Ognuno è immerso in un campo in cui agiscono numerosi vettori. Capiremo che questi vettori divengono le variabili dell’apprendimento.

Costruttivismo

ll sapere non esiste indipendentemente dall’individuo che conosce, ma nasce da una relazione tra il soggetto e l’ambiente.

L’ambiente è il luogo dell’esperienza in cui, grazie al linguaggio e alla cultura, si costruisce la conoscenza.

Per l’iterazionismo simbolico di George Herbert Mead la conoscenza psicologica non è da intendersi come lettura oggettiva della realtà esterna, ma come coinvolgimento dell’osservatore nella realtà osservata, dove in gioco non ci sono solo i processi cognitivi, ma anche quelli emotivi e relazionali.

Non esiste una conoscenza oggettiva della realtà, ma una sua “costruzione” a partire dalle ipotesi anticipate dalla scienza o dalle operazioni mentali dell’osservatore.

Il Crostruttivismo fa la sua comparsa negli anni ‘50 per opera dello psicologo statunitense George Kelly. 

L’uomo non è semplicemente un elaboratore di informazioni, quanto piuttosto un costruttore di significati.

Watzlavick, (autore della Pragmatica della comunicazione) della scuola di Palo Alto sostiene il ruolo attivo dell’individuo come “inventore della realtà”.

L’ambiente non è più inteso, come dai cognitivisti, come luogo di stimolazioni esterne, ma come universo di stimoli e di esperienze.

La conoscenza si costruisce attraverso processi di riflessione sull’esperienza. Non esiste una conoscenza oggettiva a priori, ma una conoscenza condivisa.

Ognuno di noi legge l’esperienza con i propri modelli mentali (costrutti mentali).

Pertanto la conoscenza è soggettiva, negoziata e condivisa, si costruisce nell’interazione con gli altri.

La conoscenza varia a seconda dei paradigmi che usiamo come abbiamo appreso dalla lezione del filosofo Thomas Kuhn.

EFFETTI DELLE TEORIE SULLA RELAZIONE DIDATTICA

Dopo questo quadro possiamo soffermarci su una prima riflessione relativa agli effetti di queste teorie sulla didattica.

Abbiamo tre visioni di scuola e di apprendimento totalmente diverse tra loro, che comportano quindi didattiche differenti.

COMPORTAMENTISMO: l’insegnante indica/impone ciò che l’alunno deve fare e l’alunno esegue.

COGNITIVISMO: l’alunno, guidato dal docente, acquisisce e rielabora conoscenze in funzione di uno scopo (individuato dal docente).

COSTRUTTIVISMO: alunno e docente, sulla base di un contratto formativo, individuano obiettivi, effettuano ricerche, condividono metodologie, verificano esiti, assegnano valore.

La prima cosa che salta all’occhio è che da un lato abbiamo il “Costruttivismo” dall’altro 

l’ “Istruttivismo”, da un lato un ruolo prevalentemente attivo, dall’altro un ruolo prevalentemente passivo.

COSTRUTTIVISMO VS ISTRUTTIVISMO: ll costruttivismo sposta l’attenzione dal ruolo istruttivo del docente alla centralità dello studente nel processo di apprendimento.

Il soggetto nel processo conoscitivo interpreta e costruisce la sua personale realtà.

L’insegnante è un facilitatore. Predispone l’ambiente di apprendimento in cui lo studente costruisce conoscenza proprio grazie al supporto del docente.

Freud e la psicanalisi

Facciamo un breve richiamo alla psicanalisi. Freud non può mancare perché ci offre una prospettiva differente dagli approcci finora incontrati, e che non possiamo permetterci di ignorare nella nostra relazione di insegnanti con pre-adolescenti e adolescenti.

La psicanalisi ritiene che lo sviluppo sia determinato dall’energia psichica di origine endogena e di derivazione pulsionale, mentre l’ambiente non è un elemento strutturante lo sviluppo, perché la sua incidenza è solo nel favorire o inibire la soddisfazione personale.

Nella teoria di Freud sulla realtà prende il sopravvento la psicologia dell’io, quanto ha influenzato la formazione della personalità, fin dall’infanzia, la difficoltà di raggiungere un equilibrio tra il principio del piacere e il principio di realtà, io, es e super io. 

Non è l’ambiente che incide sullo sviluppo ma l’esito delle pulsioni interne, lo sviluppo è quindi condizionato da elementi endogeni.

La psicologia del ciclo di vita considera lo sviluppo della persona come determinato dalla relazione tra individuo e società.

Erik Erikson, psicanalista tedesco trapiantato negli USA, partendo dalle fasi di sviluppo psico-sessuale di Sigmund Freud, individua otto fasi in relazione con la dimensione culturale e sociale, per questo motivo la sua teoria viene indicata come Teoria dello sviluppo psico-sociale.

Alla nostra professione interessano la fase dell’industriosità e del senso di inferiorità e la fase dell’identità e dispersione.

La fase dell’industriosità e del senso di inferiorità

Il dilemma presentato nella fase dell’industriosità e del senso di inferiorità (6-12 anni) è tipico di un bambino chiamato a realizzare alcune conquiste. A scuola deve imparare a leggere, scrivere e a far di conto. Il mancato sviluppo di queste nuove abilità complesse e il confronto con i coetanei può causare un senso di inferiorità che si ripercuoterà nello sviluppo successivo.

L’adulto che ha vissuto male questo periodo presenterà una bassa autostima e un senso di inferiorità nei confronti degli altri. 

La fase dell’identità e dispersione

Nella fase dell’identità e della dispersione (13-18 anni) il ragazzo deve fare i conti con la conquista della propria identità sia di genere che di collocazione nel mondo sociale e professionale.

Ovviamente ogni fase dipende dall’esito della precedente.

Jean Piaget e il modello organismico

Altre teorie che dobbiamo tenere presenti sono quelle che fanno riferimento a Jean Piaget, psicologo Svizzero, dell’università di Ginevra, morto nel 1980, torneremo a parlare di lui. Qui ricordiamo che è stato il fondatore dell’epistemologia genetica ed il maggior rappresentante del “modello organismico” come genesi della conoscenza.

La conoscenza è il prodotto dei processi di omeòstasi tra individuo e ambiente.

Lo sviluppo è regolato all’interno dell’organismo, su base biologica, per un migliore adattamento all’ambiente, grazie allo sviluppo dei processi cognitivi e delle funzioni psichiche superiori.

Il modello neurofisiologico

Con l’affermarsi della ricerca nell’ambito delle neuroscienze, a partire dai neuroni specchio, parliamo di modello  neurofisiologico, di rapporto tra organismo e psiche, l’adattamento all’ambiente del modello organismico avviene in base alla programmazione genetica e allo sviluppo neurofisiologico.

ll modello neurofisiologico, privilegiato dalle neuroscienze, approfondisce e radicalizza il modello organismico, individuando nelle modalità di funzionamento del sistema nervoso i modelli di funzionamento della psiche, i quali hanno come scopo il miglior adattamento all’ambiente, che avviene soprattutto in base alla programmazione genetica e allo sviluppo neurofisiologico.

Il modello socio-culturale

Le pratiche educative e di apprendimento a partire dalle Indicazioni per i curricoli nazionali della scuola italiana, quelle del 2012 per la scuola di base e quelle del 2010 per licei, istituti tecnici e professionali, possiamo dire che facciano riferimento al modello socio-culturale di Lev Semenovic Vygotskij, psicologo russo morto a soli 38 anni nel 1934.

Vygotskij sostiene che lo sviluppo del pensiero, delle funzioni superiori della mente è il prodotto della società e della cultura dell’ambiente in cui si nasce. Il primo costruttore del pensiero è il linguaggio che è lo strumento attraverso il quale si trasmette la cultura del proprio ambiente fino a modellare la nostra mente.

Questa riflessione di Vygotskij è molto impegnativa, perché ci avverte del ruolo straordinario che il linguaggio ha nell’apprendimento non solo per ritenere le nozioni, ma per maturare le funzioni della mente.

Lo sviluppo è un processo autonomo di maturazione attraverso il rapporto con la realtà che è essenzialmente di tipo sociale. Ill fattore biologico esprime solo l’ambito delle possibilità di sviluppo, mente la loro effettiva attuazione dipende dalla maturazione dei processi psichici e delle funzioni superiori che sono di natura sociale.

Lo psicologo americanoJerome Seymour Bruner condivide questa posizione.

L’attività principale della mente è dare un senso alla realtà che ci circonda in modo da conferirle un significato.

Processi questi che non possono avvenire a prescindere dal contesto sociale e culturale in cui l’individuo cresce.

Riprenderemo a parlare più avanti di Vygogtskij e di Bruner.

I modelli della psicologia dell’apprendimento

Da sempre la psicologia (comportamentismo, cognitivismo, psicanalisi) ha usato modelli riduttivi, modelli deterministici, unicausali, lineari: un certo comportamento ne influenza un altro.

Oggi la psicologia usa modelli probabilistici, lo sviluppo non segue percorsi obbligati, bensì percorsi possibili, fortemente individualizzati e differenziati.

Pertanto i percorsi di sviluppo sono di tipo probabilistico e pluridirezionale. Esiste una grande varietà interindividuale e intraindividuale.

Troppe sono le variabili in campo, l’interazione di  queste variabili ha prodotto la sintesi che siamo noi stessi, che è ciascuno di noi.

Le variabili vanno dal ruolo attivo della mente umana, all’analisi delle relazioni individuo-ambiente, fino alla variabile tempo.

Il modello olistico-probabilistico è l’orientamento che si è affermato nella seconda metà del ‘900.Concepisce la relazione individuo-ambiente come un sistema integrato dove entrambi, alla stregua di due elementi inseparabili, si influenzano reciprocamente.

Lo sviluppo è di tipo qualitativo e incrementale, e si differenzia, quindi, dal semplice cambiamento.Lo sviluppo non è limitato all’età evolutiva ma esso accompagna tutta la vita.

Espressione del modello probabilistico, olistico e interazionista è la “Prospettiva Ecologica” di Juri Bronfenbrenner in cui analizza le relazioni individuo-ambiente. C’è un continuo evolvere dei contesti che si influenzano costantemente in modo reciproco.

Bronfenbrenner rappresenta “l’ambiente ecologico” in modo concentrico.

II

Abbiamo terminato la carrellata sulle teorie dello sviluppo che inevitabilmente si intrecciano con i processi di conoscenza.

Ora veniamo in modo più specifico ad analizzare il contributo di alcune di queste teorie all’apprendimento scolastico.

Già abbiamo visto la concezione dell’apprendimento da parte del comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo, proseguendo troveremo gli ingredienti degli uni e degli altri, come un loro superamento e l’apertura di prospettive nuove.

Abbiamo visto che lo sviluppo è cambiamento, ora siamo in grado di definire che cos’è l’apprendimento: Processo psichico che consente una modificazione durevole del comportamento per effetto dell’esperienza.

È un processo psichico frutto dell’esperienza che deve produrre un cambiamento durevole. Ora potremmo chiederci se, secondo questa definizione, l’apprendimento a memoria di una poesia è un apprendimento o semplicemente l’esercizio di una funzione della mente, un allenamento anziché un risultato.

Teoria dell’apprendimento di Jean Piaget

Per Piaget ogni apprendimento, fin dalla nascita, avviene attraverso tre processi

  1. Assimilazione: la mente assorbe gli elementi dell’ambiente esterno.

2. Accomodamento: la mente procede ordinando le informazioni nel proprio bagaglio conoscitivo.

3. Adattamento: è la modifica del comportamento come conseguenza dell’adattamento dell’organismo alla realtà.

Assorbire gli elementi dal mondo esterno, integrarli nel proprio bagaglio conoscitivo, modificare il proprio comportamento, avere acquisito uno strumento in più di adattamento all’ambiente.

In realtà questo è il modo di procedere dell’apprendimento in tutte le età della vita, dunque anche a scuola.

Abbiamo già citato Vygotskij a proposito dell’approccio socio-culturale. Ora ci interessa prendere consapevolezza degli strumenti che stanno alla base di tale approccio e che l’apprendimento porta a strutturare le funzioni superiori della mente: ragionamento, memoria, attenzione, elaborazione delle informazioni.

Questo avviene a partire dalla cultura in cui si immersi, in cui si vive che costituisce il fattore principale dello sviluppo cognitivo. Cultura che ha il suo strumento nel linguaggio, è l’interiorizzazione del linguaggio, quello che per Piaget è il linguaggio egocentrico del bambino è per Vygotskij formazione del pensiero attraverso l’interiorizzazione del mondo culturale sociale in cui si vive. Per cui le funzioni psicologiche superiori hanno origine sociale.

Di Vygotskij è importante per la didattica, per l’insegnamento, per comprendere come funziona l’apprendimento: la teoria della zona dello sviluppo prossimale. Quando si sta maturando una funzione superiore del pensiero, ma ancora non la si possiede, si può anticipare la sua acquisizione attraverso la mediazione dell’altro più esperto. Sostanzialmente si cresce e si apprende attraverso la mediazione dell’adulto, genitore o insegnante, ma questa mediazione deve essere proposta al momento giusto, ne troppo prima ne troppo dopo.

L’approccio socio-culturale ha portato alla messa a punto “dell’insegnamento reciproco” un metodo per stimolare le abilità metacognitive degli allievi, la classe si configura come “comunità degli allievi”, come “comunità di discorso”.

Con Jerome Bruner, siamo a dopo la Conferenza di Woods Hole del 1959, nella quale gli USA chiamano a raccolta gli scienziati e le migliori menti del paese, per rivedere programmi e metodologie delle loro scuole, in ritardo rispetto all’URSS che il 4 ottobre del 1957 aveva mandato in orbita lo Sputnik, il primo satellite artificiale.

Brunner porta il Cognitivismo fuori dalle secche a cui l’aveva ridotto l’ HIP di Neisser per innestarlo nell’approccio socio-culturale aperto da Vygotskij.

Bruner prende da Piaget e da Vygotskij.

Già nella teoria del New look Bruner si schiera dalla parte dell’approccio socio-culturale.

In un esperimento tra bambini di estrazione sociale diversa sono mostrate monete grandi e piccole e si chiede di dire quali monete secondo loro hanno maggior valore. I bambini più poveri con maggiore frequenza attribuiscono maggior valore alle monete più grandi.

Sulla base delle nostre esperienze apprendiamo secondo tre modi, che non sono solo corrispondenti alle fasi di apprendimento nell’infanzia, ma che ci accompagnano sempre: prima viene l’azione, poi la rappresentazione, quindi l’interiorizzazione.

Bruner è il primo che nella sua Teoria dell’Istruzione introduce l’espressione “Apprendere ad apprendere” e il comeniano “Tutto può essere insegnato a tutti”.

Alla scuola compete il compito di fornire non tanto le nozioni quanto piuttosto gli strumenti che consentono di giungere alle nozioni e questo può essere fatto qualunque sia l’età dei discenti, purché si sappia adeguarlo alla loro età.

Questi strumenti sono la scoperta, la struttura, il transfer, lo scaffolding

La scoperta è la modalità, anziché trasmettere nozioni belle e confezionate andare alla loro scoperta. Come? Impadronendosi della struttura delle discipline, l’epistemologia.

Se noi sappiamo che là dove c’è un grande fiume c’è una grande pianura, e che l’acqua del fiume significa possibilità di produrre energia e la pianura possibilità di insediamenti è facile dedurre che li sorgeranno le zone più popolose, più sviluppate economicamente. 

Questa struttura applicata all’Italia porterà ad individuare nella pianura padana il cuore economico del paese, se applicata agli USA la zona sarà quella del fiume Hudson dove sorge New York.

Questo è anche il transfer cioè l’applicazione delle strutture acquisite in nuovi contesti di sapere. Questo porta alla scoperta che garantisce una maggiora durata delle conoscenze.

Lo scaffolding è l’impalcatura che l’insegnante deve fornire a questo processo di apprendimento.

L’impianto socio-culturale di Bruner si sviluppa nel concetto di narrazione. “Non si ha una vita se non la si racconta”. Tutto il sapere accumulato dall’uomo non è altro che una grande narrazione. Il pensiero è narrazione.

Narrazione nel senso di “gnarurs” cioè di esperto, di competente, chi è in grado di narrare ha fatto esperienza e integrato l’esperienza nel pensiero.

La narrazione è la costruzione e condivisione dei significati. Il concetto di narrazione conduce Bruner nel territorio del Costruttivismo.

Il mondo è composto da eventi inter-soggettivamente comprensibili.

Si tratta di eventi che hanno una forma narrativa e presentano modelli di coerenza che, quando vengono violati, producono sorpresa.

Essi sono eventi e “pattern” di eventi culturalmente formati, socialmente condivisi e mutuamente comprensibili.

La narrazione è il modello mentale con cui percepiamo e organizziamo la realtà, rendendola “realtà interpretata”.

La mente non è semplicemente lo strumento di replica della cultura, così come la cultura non è il mero insieme delle proprietà della mente. Attraverso la narrazione percepiamo e organizziamo la realtà. La mente non è solo un replicatore di cultura ma coinvolge la soggettività delle intenzionalità e delle esperienze di ogni persona.

La struttura mentale non possiede solo la dimensione dei processi logici e categoriali, possiede anche una dimensione che riguarda l’intenzionalità e la soggettività di ogni esperienza.

Per Bruner la mente ha più dimensioni che non sono le intelligenze di Howard Gardner che incontreremo più avanti. Pensiero logico-scientifico e pensiero narrativo coesistono come spiega nei Saggi per la mano sinistra.

Esistono per Bruner una psicologia popolare e una pedagogia popolare che è il modo con cui una cultura spiega il comportamento degli esseri umani.

Per la psicologia popolare per ogni soggetto che apprende si ha l’oggetto dell’apprendimento e i requisiti dell’apprendimento, di contro nella pedagogia popolare in corrispondenza di ciascuno di questo si definisce il ruolo dell’insegnante, il ruolo del discente e la funzione che l’insegnante assume.

In realtà sono modelli di apprendimento che richiedono all’insegnante differenti cassette di attrezzi.

David Paul Ausubel  è stato uno psicologo statunitense,  seguace delle teorie di Jean Piaget. Ha fornito contributi significativi nei campi della psicologia dell’educazione, delle scienze cognitive e della didattica delle discipline scientifiche. È noto per avere sviluppato la strategia cognitiva degli “organizzatori avanzati”.

C’è differenza tra l’apprendimento di qualcosa che ci interessa e qualcosa di noioso che abbiamo appreso in modo meccanico.

Nel primo caso parliamo di apprendimento profondo, di apprendimento significativo. 

David Ausubel ha studiato le differenze tra questi due approcci e sviluppato la sua teoria dell’apprendimento significativo.

L’apprendimento significativo e profondo è l’apprendimento costruito e legato al bagaglio di conoscenze che già si possiedono, in cui l’individuo svolge un ruolo attivo ristrutturando e riorganizzando le informazioni.

La teoria di Ausubel è influenzata dal costruttivismo. 

Per David Ausubel la vera conoscenza è costruita dal soggetto attraverso le sue interpretazioni.

L’apprendimento significativo è un apprendimento relazionale. È legato alle conoscenze e alle esperienze già compiute. È una modifica o un modo per integrare i nostri piani o rappresentazioni della realtà, ottenendo così un apprendimento profondo. Non sono semplicemente dati memorizzati, ma una struttura concettuale su come vediamo e interpretiamo la realtà che ci circonda.

Un aspetto chiave di questo tipo di apprendimento è la relazione ciclica tra la nostra struttura concettuale (o i nostri schemi) e la percezione della realtà materiale. 

Principi per un apprendimento significativo:

  • Fornire attività che possano suscitare l’interesse dello studente. A un più alto interesse lo studente sarà più disposto a integrare le nuove conoscenze nel suo quadro concettuale.
  • Tenere in considerazione le conoscenze precedenti. L’apprendimento significativo è relazionale, la sua vastità dipende dalla connessione tra nuovi contenuti e conoscenze precedenti.
  • Creare un clima armonioso in cui lo studente si senta fiducioso nei confronti del l’insegnate. È essenziale che lo studente veda nell’insegnante una figura che infonde sicurezza in modo che non rappresenti un ostacolo nel suo apprendimento.
  • Fornire attività che consentano allo studente di commentare, scambiare idee e discutere. La conoscenza deve essere costruita dagli studenti stessi; sono loro che, attraverso la loro struttura concettuale, devono interpretare la realtà materiale.
  • Spiegare attraverso gli esempi. Gli esempi aiutano a comprendere la complessità della realtà e ad ottenere un apprendimento contestualizzato.
  • Guidare il processo cognitivo di apprendimento. Essendo un processo in cui gli studenti sono liberi di costruire la conoscenza, può succedere che commettano errori. È compito dell’insegnante supervisionare il processo e fungere da guida.
  • Creare un apprendimento situato nell’ambiente. Tutta l’educazione avviene in un contesto sociale e culturale, è importante che gli studenti capiscano che la conoscenza è di carattere costruito e interpretativo. Capire il perché delle diverse interpretazioni aiuterà a costruire un apprendimento significativo.

Per agevolare l’appropriazione significativa di un contenuto da parte della studente l’insegnante deve ricorrere a degli “organizzatori”.

Essi sono esempi, problemi, in generale materiali che strutturano idee rilevanti e significative, le quali fungono da base di riferimento a cui agganciare il nuovo contenuto.

Le operazioni cognitive che si verificano durante il processo di apprendimento sono:

  1. la progressiva differenziazione e specificazione a partire da idee più generali
  2. la concettualizzazione a un livello superiore, con la conseguenza d’una estensione della matrice di apprendimento del soggetto.

A questo punto è interessante sottolineare le differenze tra apprendimento meccanico di tipo comportamentismo e apprendimento significativo di tipo costruttivista per verificare quanto la nostra didattica sia distante o vicino all’uno o all’altro.

Abbiamo visto finora l’approccio all’apprendimento delle diverse teorie scaturite dalla ricerca psicologica.

Ora dovremmo calarci di più nella pratica dell’insegnamento.

L’istruzione programmata che si afferma in Italia intorno agli anni ’80-’90 del secolo scorso  non ha nulla a che vedere con le teaching machine di Skinner.

È l’istruzione che programma, definisce e organizza le fasi dell’apprendimento.

Il modello Morrison e McIntyre è interessante perché l’insegnante non è solo un trasmettitore ma ha una storia personale.

Il modello più interessante è quello che Benjamin Samuel Bloom pubblica  in “Caratteristiche umane e apprendimento scolastico” con le conseguenti tassonomie, ovvero elencazioni di obiettivi cognitivi e affettivi.

OBIETTIVI COGNITIVI

# prima di poter comprendere un concetto occorre conoscerlo

# per poterlo applicare occorre averlo compreso

# prima di analizzarlo dobbiamo essere in grado di applicarlo

# per poterlo sintetizzare, dobbiamo averlo prima analizzato

# infine, per poterlo valutare dobbiamo essere capaci di sintetizzarlo

OBIETTIVI AFFETTIVI

  1. OBIETTIVI DI INTERESSE
    1. Ricettività:
      1. Capacità di percepire e prestare attenzione a stimoli, senza peraltro reagire
        1. consapevolezza,
        2. disponibilità a ricevere,
        3. attenzione controllata o selettiva;
  2. OBIETTIVI DI IMPEGNO
    1. Risposta:
      1. Capacità di reagire ad uno stimolo esterno in modo accondiscendente o spontaneo
        1. acquiescenza nel rispondere,
        2. disposizione a rispondere,
        3. soddisfazione nel rispondere;
    2. Valutazione:
      1. Capacità di scegliere e rifiutare
        1. accettazione di un valore,
        2. preferenza per un valore,
        3. impegno;
  3. OBIETTIVI DI PARTECIPAZIONE
    1. Organizzazione:
      1. Capacità di sistemare spontaneamente scelte e valori in sistemi più ampi
        1. concettualizzazione di un valore,
        2. organizzazione di un sistema di valori;
    2. Caratterizzazione:
      1. Capacità di creare una propria visione del mondo e di valutare i propri atteggiamenti

I presupposti del Mastery Learning (apprendimento per la padronanza) sono stati chiariti da Bloom alla fine degli anni 70: l’idea è che la maggior parte degli studenti possa raggiungere un elevato livello di apprendimento se vengono create le condizioni favorevoli, adeguate alle caratteristiche e ai bisogni di ciascuno. Si introduce così nella didattica il concetto di insegnamento individualizzato.

L’insegnante è colui che progetta i processi di apprendimento in grado di offrire a ciascun alunno le condizioni migliori per poter imparare. Chiunque può apprendere qualsiasi cosa.

Ci siamo occupati finora dell’apprendimento ma non dell’intelligenza coinvolta dall’apprendimento. La ricerca psicologica ci offre contributi anche su questo versante.

Innanzitutto col modello della struttura dell’intelletto di Guilford.

Guilford sostiene che l’intelligenza si compone e si articola in un numero elevato di abilità distinte ed autonome, specializzate per compiti specifici.

La struttura dell’intelligenza è rappresentata da un parallelepipedo le cui facce sono : contenuti, operazioni e prodotti. La combinazione delle facce produce almeno 120 abilità mentali.

Operazioni: attività che la mente compie con le informazioni che riceve dai sistemi percettivo- sensoriali.

Contenuti: fanno riferimento alla natura delle informazioni.

Prodotti: forma assunta dall’informazione quando viene elaborata

Guilford introduce il concetto di pensiero convergente (conformista) e di pensiero divergente (o creativo).

Il pensiero convergente viene attivato nelle situazioni che permettono un’unica risposta pertinente.

Il pensiero divergente è attivato nelle situazioni che permettono più vie di uscita. Esso si caratterizza per: fluidità, flessibilità, originalità, elaborazione, valutazione.

Per Howard Gardner la struttura della mente è costituita da 9 intelligenze di cui le prime 7 corrispondono a 7 abilità.

Howard Gardner rappresenta un punto di svolta nello studio dell’intelligenza. Prima della sua teoria delle intelligenze multiple infatti la valutazione del Quoziente Intellettivo (IQ) veniva calcolata in base a due sole tipologie di intelligenza, quella logica e quella linguistica, che per molti studiosi rappresentavano il concetto di intelligenza generale.

Gardner sostiene la tesi dell’esistenza di “intelligenze multiple”, collegandole inoltre all’uso di diversi sistemi simbolici proposti in specifici contesti culturali.

Howard GARDNER è psicologo cognitivista statunitense. Concepisce l’intelligenza come un potenziale, una realtà poliedrica composta da varie competenze umane, che chiama FORMAE MENTIS. 

È importante identificare quello che l’autore chiama il profilo cognitivo del soggetto, i suoi punti di forza e debolezza per intervenire scegliendo di puntare sulle doti maggiormente spiccate e potenziare quelle meno.  

L’intelligenza emotiva

L’intelligenza interpersonale che Gardner formula nel 1983 porta Salovey e Mayer a introdurre il concetto di intelligenza emotiva che verrà sviluppato nel 1995 da Daniel Goleman (Deniel Golmen) che pubblica “Emotional Intelligence, in Italia appare nel ’97 con il titolo “L’intelligenza emotiva che cos’è, perché può renderci felici.”

Grazie a questo libro il tema dell’intelligenza emotiva inizia ad essere studiato in ambito psicologico e organizzativo.

È un aspetto della nostra intelligenza che consiste nella capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole sia le nostre emozioni che quelle altrui.

Ci consente di distinguere tra esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i nostri pensieri e le nostre azioni.

Sia a scuola che a casa, tutti dovremmo essere capaci di creare un contesto valido e significativo in termini di intelligenza emotiva.

A scuola appare evidente il ruolo centrale che i processi affettivi giocano nellorganizzare lesperienza e il comportamento. In ultima analisi, non si dà” apprendimento senza gratificazione emotiva”

                                                                     (U. Galimberti, 2001)

L’esclusione o la marginalizzazione dai programmi scolastici di spazi destinati alla formazione emozionale è un indicatore negativo che può spiegare l’impotenza delle istituzioni scolastiche di fronte all’aumento delle difficoltà e del disagio, alla insorgenza di alcuni disturbi tra gli adolescenti e i bambini.

Il disagio giovanile, rilevabile in ambito scolastico, è inquadrato in “un insieme di comportamenti disfunzionali (scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i compagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico), che non permettono al soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con successo, utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e relazionali“.

La sofferenza psicologica, come evidenziato dalle ricerche in questo settore, può comportare stress, ricollegabile alle prestazioni scolastiche, comportamenti di angoscia e insicurezza, problemi di comunicazione, sintomi di tensione e assunzione di sostanze psico-attive. Tutto ciò può sfociare in fenomeni rilevanti come bullismo, difficoltà d’ apprendimento, deficit di attenzione e iperattività o rifiuto della scuola; tali fenomeni rendono ancora più visibile l’impotenza dei genitori e degli insegnanti.

Il Concetto di Sé

Se l’individuo è soggetto attivo, costruttore dei saperi e della realtà egli non interviene nell’apprendimento solo con processi mentali, ma anche con le componenti emotive che ne definiscono la storia.

Recentemente ha fatto il suo ingresso nella psicologia dell’apprendimento il ruolo del Concetto di Sé. Si è compreso che tra concetto di sé e competenza c’è interdipendenza, l’uno dipende dall’altro.

Per concetto di sé si intende la rappresentazione che un individuo ha della conoscenza relativa a se stesso, rappresentazione che si forma e si modifica attraverso molteplici esperienze con e nell’ambiente. (Wigfield, Karpathian, 1991)

Potremmo riassumere il concetto di sé come fiducia in se stessi e nelle proprie capacità.

Elemento delicato soprattutto per i giovani, per il quale il concetto di sé è fortemente condizionato dagli adulti che entrano in relazione con lui.

l concetto di sé ha un triplice ruolo: mantiene la coerenza nelle rappresentazioni dell’individuo relative a esperienze e abilità diverse; influenza il modo di interpretare le esperienze; determina nell’individuo un insieme di aspettative. (Boekaerts, 1991)

. Il concetto di sé ha una caratterizzazione cognitiva, che riguarda ciò che l’individuo percepisce e sa di se stesso ( per es., riuscire bene o meno bene in una disciplina scolastica).

. La stima di sé è l’atteggiamento dell’individuo riguardo a se stesso e ha una connotazione affettiva (essere più o meno soddisfatto di se stesso).

. Gli schemi del sé sono le concezioni di noi stessi in situazioni  diverse e comprendono, come tutti gli schemi, sia componenti cognitive (relative ad una certa abilità o disciplina o situazione di apprendimento) che affettivo-motivazionali.

. La competenza in un settore richiede sia l’abilità sia uno schema di sé relativamente a quell’abilità.  (H. R. Markus)

Il concetto di sé non è qualcosa di statico, ma è dinamico perché in noi giocano le aspettative e le prospettive. Vale a dire i “Sé possibili”, i Sé orientati al futuro.

L’apprendimento e la riuscita nell’apprendimento mette in gioco i sé possibili.

I « sé possibili » sono orientati al futuro.

. Sono gli elementi del sistema del sé di un individuo che gli consentono di anticipare una meta e di organizzare i passi necessari per raggiungerla o evitarla.

. Vi sono vari sé possibili:

  • ciò che un individuo vuole essere
  • quello che teme di diventare
  • quello che dovrebbe essere, ecc.

.  I sé possibili hanno una funzione motivazionale, perché il desiderio di raggiungere un certo obiettivo o di migliorare un certo stato è stimolante per l’individuo.

Quanto più l’individuo elabora un sé possibile in vista di una prestazione, tanto migliore risulta quest’ultima perché è stata prevista e in un certo modo anticipata.

L’attribuzione in psicologia è il processo attraverso il quale gli individui tendono a spiegare le cause degli eventi e dei comportamenti umani.

Gli esseri umani tendono per natura ad attribuire cause agli eventi che li circondano e a stabilire connessioni causa-effetto, anche quando le informazioni a disposizione sono scarse. Il modo in cui gli individui stabiliscono tali connessioni venne descritto da diversi psicologi in diverse teorie dell’attribuzione.

Secondo lo studioso austriaco Fritz Heider l’attribuzione corrisponde al desiderio di capire la realtà e prevederne i possibili sviluppi.

Il modello attribuzionale della motivazione (Heider-Weiner, 1992) (Haider- Winor) rientra nell’ambito della psicologia sociale e spiega come le persone percepiscono il proprio comportamento.

La percezione che un alunno ha del proprio comportamento è importante per la riuscita nell’apprendimento.

Noi tendiamo ad attribuire i nostri comportamenti a cause interne (tratti di personalità, intelligenza, motivazione, ecc.) o cause esterne (fortuna, circostanza, azioni di terze persone, ecc.).

Facciamo uso di tre parametri principali per rendere ragione degli eventi legati alle nostre esperienze:

  • Locus: il locus può essere interno o esterno, a seconda della persona o del contesto. È legato all’autostima. Un alunno che attribuisce i suoi fallimenti a fattori personali andrà incontro a un notevole calo dell’autostima: sta usando un locus interno.
  • Stabilità: si tratta di valutare quanto un comportamento è stabile nel tempo. In altre parole, fa riferimento alla durata della causa. Se un alunno attribuisce il suo fallimento a fattori che giudica stabili nel tempo (ad esempio, la difficoltà a memorizzare, di attenzione, ad applicarsi, a comprendere), la sua motivazione diminuirà. Al contrario, se lo attribuisce a fattori instabili, la motivazione non si ridurrà.
  • Controllabilità: questo termine si riferisce ad attribuzioni legate a fattori esterni (che non dipendono dalla persona) o interni (che dipendono dalla persona). Una fattore esterno è la sfortuna, mentre uno interno potrebbe essere la mancanza di capacità e abilità. Quando si stima che la causa di un insuccesso sia legata a fattori interni, la motivazione diminuisce.

Diverso è l’approccio Socioculturale che colloca la motivazione al di fuori dell’individuo.

La motivazione ha origine dall’ambiente di apprendimento, dal setting, dipende dall’incontro tra obiettivi e aspettative. L’approccio socioculturale è ancora cognitivista.

In questa prospettiva l’insegnante ha il compito di interpretare la motivazione dell’allievo (per es. la paura dell’insuccesso) in relazione ai diversi contesti di apprendimento e istruzione, ma anche attraverso la zona dello sviluppo prossimale, di aiutarlo a interiorizzare un atteggiamento positivo e autonomo nei confronti dell’apprendimento stesso.

Più costruttivista è la prospettiva fenomenologica che muove dal Sé come agente, che è come abbiamo già visto l’impianto costruttivista. La fonte della motivazione è nell’agire dell’alunno.

Compito dell’insegnante è creare un clima di accettazione e rispetto, sviluppare un positivo sistema del sé, stimolare l’impegno dell’allievo, dargli il senso di poter gestire il proprio apprendimento.La motivazione dell’allievo si potenzia nell’interazione con l’insegnante.

La Metacognizione

L’ultimo capitolo lo dedichiamo alla Metacognizione. Ormai il termine è diventato di moda e si spreca.

Cosa si intenda per “metacognizione” lo sappiamo, consiste nella capacità di riflettere sui propri processi cognativi.

Il termine è stato introdotto negli anni ‘70 dallo psicologo dell’età evolutiva John H. Flavell. Flavell ha definito la metacognizione come conoscenza e controllo della cognizione.

Perché è importante la metacognizione? Perché l’obiettivo è rendere consapevole lo studente dei propri processi di apprendimento sia come modalità che come risultato, specie se si fa propria la prospettiva costruttivista dell’apprendimento.

La metacognizione ha i suoi antecedenti in quelli che tradizionalmente venivano chiamati metodo di studio: “Questo ragazzo non ha ancora maturato un metodo di studio”

Ora il campo è sgombrato da queste espressioni perché la metacognizione è apprendimento, fa parte dell’apprendimento.

Già in qualche modo era anticipata da Ausubel con l’apprendimento significativo e gli organizzatori dell’apprendimento.

Le procedure dell’apprendimento tradizionale sono: 

  • Reiterazione
  • Memorizzazione di nozioni
  • Prendere appunti
  • Lettura di testi: concetti e parole chiave
  • Riassunto
  • Schematizzazioni
  • Gestione dell’ansia da interrogazione

Tra i vari metodi strutturati di organizzazione globale dello studio il più conosciuto è quello elaborato da Robinson nel 1961, in seguito perfezionato e denominato PQ4R (Thomas & Robinson, 1972), acronimo delle 6 fasi in cui si articola:

  1. scorrere il testo (preview)
  2. porsi delle domande (questions)
  3. leggere (read)
  4. riflettere sui contenuti (reflect)
  5. ripetere oralmente (recite)
  6. ripassare il tutto (review).

La metacognizione poggia le sue radici nella “Generatività”

La “generatività” rende efficace una strategia di studio.La riorganizzazione con parole proprie del sapere appreso,l’arricchimento mediante l’integrazione di informazioniderivanti dalla propria esperienza rendono tanto piùefficace un apprendimento solido e duraturo.(Rohwer, 1974)

1° Sviluppare capacità di ragionare e risolvere problemi nel lavoro e nella vita di ogni giorno.

2° Mettere l’allievo in grado di regolare il proprio apprendimento cioè di usare gli strumenti dell’acquisizione del sapere: i libri, i media ecc.

La Metacognizione per tradursi in apprendimento ha necessità che le cognizioni calde e fredde si incontrino: intelligenza, motivazione, consapevolezza di sé.

Nella didattica metacognitiva l’attenzione dell’insegnante non è tanto rivolta alla elaborazione di materiali o a metodi nuovi per insegnare, quanto a formare quelle abilità mentali superiori che vanno oltre i “semplici” e scontati processi cognitivi primari come ad esempio: leggere, ricordare, calcolare.

Insegnante come facilitatore e mediatore di cambiamenti strutturali in chi deve imparare. In pratica bisogna stimolare i ragazzi a controllare come lavora la mente: “Perché pensi che il compito sia difficile?”, “Perché hai rinunciato a farlo?”, “Perché hai fatto proprio così?”. 

Dario Ianes individua gli elementi costitutivi della didattica metacognitiva.

Le dimensioni dell’apprendimento scolastico:

1. L’acquisizione della conoscenza è un processo costruttivo in cui l’allievo interviene attivamente.

2. Apprendere un concetto significa costruire o ricostruire un nodo in una rete che organizza la conoscenza relativa a un certo dominio.

3. Le modalità di acquisire e di utilizzare le informazioni dipendono dalle caratteristiche individuali su cui agiscono esperienze di istruzione, differenze di capacità e di stili.

4. L’insegnamento scolastico non riguarda solo le conoscenze concettuali, le abilità e le strategie relative ai vari settori del sapere: riguarda anche i modi in cui l’allievo si fa carico del proprio apprendimento.

5. Ciò che l’allievo apprende a scuola e, in generale, le attività che egli svolge hanno sempre una valenza motivazionale.

6. La disponibilità ad apprendere non comprende solo il possesso da parte dell’allievo dei prerequisiti necessari ad una determinata acquisizione, ma anche un atteggiamento d stimolazione/facilitazione da parte dell’insegnante.

Bibliografia

  • AA.VV., La psicologia culturale di Bruner, Cortina Raffaello, 1999
  • AA.VV., Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, il Mulino, 2018
  • Boscolo P., Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, 2016
  • Cornoldi C., Metacognizione e apprendimento, il Mulino, 1999
  • Ianes D., Metacognizione e insegnamento. Spunti teorici e applicativi, Erickson, 2002