Un’altra scuola è possibile ©
di Giovanni Fioravanti
Premessa
Nonostante i numerosi ostacoli che negli ultimi decenni sono stati frapposti allo sviluppo di un discorso nuovo sulla scuola nel nostro Paese, facendoci scontare ritardi i cui risultati ci collocano agli ultimi posti delle classifiche internazionali, qualcosa credo di ormai irreversibile è maturato nella cultura delle nostre scuole.
Penso al rapporto tra saperi e competenze, penso alla necessità di dotarsi di strumenti di misurazione e di valutazione che forniscano importanti dati sul funzionamento del nostro sistema scolastico e dei suoi istituti, penso ad una crescente tendenza a personalizzare i percorsi di apprendimento. Potrei aggiungere altre importanti questioni come il tema dell’autonomia, delle certificazioni, dei debiti e dei crediti, l’etica della rendicontazione sociale e ancora altro. A riflettere, un lessico pedagogico inimmaginabile solo poco tempo fa. Certamente estraneo ai secoli da cui proviene il nostro sistema scolastico.
Ma soprattutto penso al tema dell’ambiente di apprendimento, alla necessità di progettare nuovi ambienti di apprendimento capaci di meglio supportare la formazione e la crescita delle generazioni del 21esimo secolo, penso che non possiamo continuare a ostinarci nel rimanere identici al passato.
Proprio per questo sono personalmente convinto che non è più rinviabile un serio e approfondito discorso sul modo d’essere delle nostre scuole. Non servono scorciatoie e non serve farsi prendere dall’urgenza, a meno che non si sia pienamente consapevoli che l’accelerazione forse può essere utile a recuperare un poco del tempo perduto, ma è ben lontana dall’avviarci verso quel “nuovo” di cui avrebbe bisogno oggi la nostra scuola.
Solo l’evocazione dei temi che sopra ho elencato dovrebbe essere sufficiente a suggerirci quanto essi facciano a pugni con una scuola che sostanzialmente da oltre centocinquanta anni continua a funzionare allo stesso modo. È possibile?
Come sono organizzate le nostre scuole
Proviamo a pensare come sono organizzate le nostre scuole.
In tanto le classi. Le classi si formano per età e di conseguenza anche l’insegnamento è programmato e impartito per età. L’aspettativa è che ad ogni anno scolastico corrisponda una certa quantità di apprendimenti acquisiti nelle diverse discipline del programma.
Chi stabilisce tutto ciò? Le disposizioni nazionali impartite dal ministero dell’istruzione o, comunque, entrate a far parte della normativa consolidata nel tempo.
La scansione annuale di quanto prescritto dalle disposizioni è compito delle scuole e al loro interno dei docenti, sia collettivamente che individualmente.
Potremmo rappresentarlo con un diagramma di flusso:
Per un malato preso a carico da una struttura ospedaliera avremmo un diagramma di flusso simile:
Comune a questi due diagrammi è la partenza, costituta da un capo, da una testa che è una potestà sociale: il Ministero, espressione della volontà politica.
Quindi un luogo fisico, un edificio, una struttura logistica. Il personale che opera professionalmente, l’assegnazione a una frazione o particella della struttura. La fine è sempre l’individuo-persona.
Anche percettivamente si coglie che al di sopra della persona sta sempre dell’altro, dal politico, al fisico, fino ad organi che agiscono. Ad occhio si coglie la subordinazione, comunque la dipendenza.
Per ottenere un bene, un vantaggio, siamo disposti a sottostare a un ordine prestabilito.
Poiché dal macro non possiamo prescindere perché ci contiene e organizza la nostra vita, proviamo a pensare ad un ordine diverso per ottenere lo stesso bene. A noi interessa pensarlo per la scuola.
Una ipotesi potrebbe essere questa:
La prima cosa che si nota è come, così facendo, abbiamo accorciato la distanza tra il Ministero, potremmo dire la politica, e l’alunno, tra la partenza e quella che precedentemente era la fine.
Cosa significherebbe questo in concreto? Significherebbe che il Ministero, cioè l’espressione della politica, deve in primis farsi carico dell’alunno, occuparsi di lui.
Del resto nessuno oggi oserebbe negarne la centralità, ma potremmo osservare, en passant, che la centralità è prevista nel processo educativo, non in quello politico.
Eppure, è forse il caso di riflettere che, se all’accoglienza dell’alunno si antepone la scuola, questa non può che essere burocratica, per cui su tutto prevale il principio della certificazione, della rispondenza, della attestazione, si ricercherà, dunque, una sua collocazione corrispondente ai principi di questa autenticazione prestabilita. È facile comprendere che questo è il primo passo per portare a compimento il tradimento della dichiarata centralità dell’alunno.
L’età anagrafica è un accidente cronologico, non può essere la sintesi della sostanza di una persona. Emerge che ciò su cui bisogna decidere è se deve prevalere la somma degli anni accumulati o l’individuo.
Nel nostro diagramma la scelta è compiuta: l’alunno.
Allora cosa significa nei fatti per l’alunno, entrando a scuola, incontrare gli insegnanti anziché la classe? Prima di tutto essere accolto come singolo, come persona con una storia, che chiede di vivere parte della sua vicenda nella scuola che ha eletto. E la scuola è il luogo dove operano le persone che professionalmente sono preparate per accompagnarlo in questo percorso.
Per fare questo bisogna conoscersi. La conoscenza diviene il primo atto e dovere di ogni accoglienza scolastica. Conoscenza significa incontrarsi, dichiararsi, riconoscersi. Attraverso l’incontro e le dichiarazioni, riconoscere ciò che ogni singolo alunno è e ciò che sono io, e cioè, in questo caso la proposta formativa, la strada che come scuola ti propongo di percorrere insieme.
La Proposta Formativa
Ecco il punto di partenza del lavoro di ogni scuola: conoscere ogni soggetto prima di agire. Dovremmo fare precedere l’accoglienza all’iscrizione e fare assumere all’atto di iscriversi una natura diversa, di cui dirò più avanti.
È difficile, è impossibile? Non credo. Così facendo non si riescono a formare le classi in tempo per l’inizio dell’anno scolastico, con ritardi nella formazione degli organici?
Proviamo a simulare.
Prima di tutto distinguerei tra gli alunni che si iscrivono per la prima volta e quelli che già frequentano la nostra scuola.
In secondo luogo passerei a definire la funzione docente, non più come sancita dall’articolo 395 del T.U in materia di Istruzione, D. Lgs. n. 297 del 16 aprile 1994: «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura […]».
Ma come successivamente descritta dal coesistente articolo 26 del CCNL della scuola del 2009, quindici anni dopo: «La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni […]. In attuazione dell’autonomia scolastica i docenti […] elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico–didattici, il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio – economico di riferimento, […]».
C’è incompatibilità tra i due articoli? Certamente no. Ma il contratto del 2009 esplicita come l’attività di trasmissione propria della funzione docente debba essere interpretata: non è la relazione frontale docente-alunno il perno, bensì la funzione organizzatrice e mediatrice degli apprendimenti propria degli insegnanti.
Su tutto prevale, non la scuola e i docenti, che restano nella dimensione dei mezzi, degli strumenti, delle risorse umane e professionali, ma l’organizzazione e la mediazione degli apprendimenti in funzione della peculiarità di ogni singolo alunno che alla scuola si rivolge. Ciò comporta che a monte la funzione docente si sia esplicata nella traduzione della prescrittività dei programmi e delle indicazioni nazionali in percorsi di apprendimento o, se vogliamo usare un termine più appropriato, in piani di studio.
Cosa significa tutto ciò in concreto? Significa che a priori è necessario sistematizzare i saperi e le competenze proprie di ogni disciplina in un algoritmo. Algoritmizzare i percorsi di apprendimento, sostituendoli alla vacuità delle tradizionali programmazioni didattiche e dei piani dell’offerta formativa. È compito dei docenti di ogni disciplina individuare i saperi e le competenze, temporalizzarli in livelli di apprendimento, assegnando ad ognuno un valore o credito, fino alla certificazione finale del ciclo di studi, primo, secondo, biennio e triennio delle superiori. Il sistema dei crediti, in uso in tutto il mondo e che anche l’Europa ci chiede, dovrebbe essere il meccanismo migliore. Indicare come nel percorso di studi di quella disciplina si procede da un livello inferiore a quello superiore e la somma dei crediti necessari per ogni disciplina alla certificazione del superamento del ciclo di studi.
Ogni scuola così facendo si doterebbe di piani di studi o percorsi disciplinari, dove per ogni disciplina è chiaramente esplicitato, a prescindere da chi sarà il docente:
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Che cosa si deve apprendere e saper fare;
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La scala dei livelli di apprendimento;
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Quanto vale, in termini di crediti, nel percorso di formazione individuale quello che viene appreso;
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Quando si può considerare concluso il percorso di apprendimento per quella disciplina;
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Le modalità di verifica degli apprendimenti, gli strumenti di misurazione e i criteri di valutazione.