Educazione è parola complessa che usiamo per differenti contesti, abbraccia una vasta gamma di territori, ciascuno dei quali richiederebbe di essere presidiato.
Educazione non è solo l’istruzione che viene impartita nelle aule scolastiche. La scuola, infatti, costituisce solo una piccola parte degli strumenti di cui una cultura dispone per iniziare le giovani generazioni alle sue forme canoniche, anzi, può addirittura entrare in collisione con questi.
Educazione richiama pedagogia di cui una volta era fedele ancella e, a sua volta, la pedagogia lo era della filosofia. Oggi la pedagogia è fuori dai nostri orizzonti.
Non ci sono weltanschauung, visioni del mondo che vengono prima delle persone, dell’individuo e della sua vita, su cui forgiare l’alunno. Anche la pedagogia, con l’avvento delle scienze umane ha vissuto la sua stagione di “pedagogia della liberazione”, nel senso di liberiamoci della pedagogia.
Neppure nella letteratura scolastica torna più la pedagogia, la scuola è “l’ora di lezione”, l’educazione si propone come “Gaia”, “Libertaria”, “Incidentale”, “oltre le mura”, non è la pedagogia a pensare “grande” ma “I bambini pensano grande”, l’educazione è “Free to learn” o “Insegnare al principe di Danimarca” fino a “Senza insegnanti”. Sebbene ancora qualcuno in tutto questo, con l’aggiunta del 2.0, paventi i rischi di una scuola senza “educazione”. Lontani dal pensare che il vero rischio che corriamo potrebbe essere quello di trovarci in una scuola senza istruzione o con un’istruzione che non serve.
Era il 1906, agli albori del secolo scorso, quando in Italia veniva pubblicato, con enorme successo, Il secolo del fanciullo in cui stava scritto che ”Il vero segreto dell’educazione consiste nel non educare”. L’autrice, Ellen Key, scrittrice svedese, precorritrice della Montessori, conosciuta da Vygotskij, ebbe molta influenza in Europa per l’educazione dell’infanzia, per la sua nuova concezione del bambino e per l’idea che bisogna costruire un ambiente su misura del bambino. Il bambino deve diventare il centro di tutte le politiche sociali, bisogna dare attenzione ai bambini per pensare ad un’umanità nuova.
Il libro si apre con una celebre citazione tratta da Così parlò Zarathustra di Nietzsche ed è dedicato «ai genitori che sperano di educare l’uomo nuovo».
Una umanità nuova. Ogni generazione porta con sé questa responsabilità di lavorare per un’umanità nuova. L’educazione che lavora su modelli da riprodurre non ce la può fare.
Dieci anni prima del libro della Key, John Dewey scriveva: “Ciò che desiderate per i vostri figli lo Stato deve desiderare per la scuola. Cos’è che i genitori più attenti e più assennati vogliono per i propri figli? Ecco, questo è quello che la comunità deve volere per tutti i suoi cittadini”. E aggiungeva: “Ogni individuo ha un potenziale di grandezza e merita l’opportunità di crescere, svilupparsi e contribuire pienamente alla società.”
Ciascuno è un valore, ciascuno è una risorsa, ciascuno è una opportunità per l’umanità intera.
Ma l’educazione presuppone sempre che per come sei fatto non vai bene, devi essere corretto, conformato. Così come sei non puoi essere considerato una risorsa, è necessaria la rettifica affinché il motore possa funzionare.
E gli insegnanti storicamente sono stati chiamati a questa missione correttiva delle nature umane. Per Rousseau il maestro è il guardiano e il custode del bambino dalla corruzione e dalle influenze cattive. Per Tolstòj deve essere un uomo virtuoso che trasmette il suo esempio personale al bambino. Per la filosofia ascetica l’educatore è colui che mette in atto i precetti: “Piega la volontà del tuo bambino affinché non si perda.”
L’educatore francese Valentin Haüy, impegnato con i giovani non vedenti, pensa che il maestro debba essere un ipnotizzatore in grado di sottomettere a sé la volontà altrui. L’educatore di Froebel e di Pestalozzi è un giardiniere dell’infanzia e secondo Pavel Blonskij è un ingegnere di antropotecnica o di pedotecnica, un tecnico della “cultura dell’uomo”.
Da un lato la crescita biologica e dall’altro l’educazione che non si incontrano mai.
Invece il significato etimologico di “crescere” è creare: ognuno crea se stesso. Ognuno è l’autore di se stesso, sebbene non possa sottrarsi ai condizionamenti della cultura in cui si forma, ma può essere attrezzato per difendersene, per scegliere e tutelare la propria libertà.
Hannah Arendt osserva che l’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, ed è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.
In realtà ogni adulto dovrebbe essere il testimone responsabile di questo mondo di fronte alle giovani generazioni.
L’educazione è l’ingresso nella cultura. Nascendo al mondo noi entriamo nella cultura, attraverso un processo di continuo adattamento, di constante ricerca di un equilibrio tra noi e il fuori di noi, come ci ha spiegato Piaget.
La nascita è la chiamata, compiuta dei nostri genitori, a divenire attori della cultura, a prenderne il testimone e a continuarne la narrazione.
È a scuola che apprendiamo a leggerne e a scriverne le pagine. Per questo nessuno può appropriarsi della scuola, perché quella narrazione appartiene a tutta l’umanità che l’ha composta e che continua a comporla dai vari luoghi del pianeta.
L’ingresso nella cultura è appropriarsi della sua narrazione, non per assuefarsi od adattarsi ad essa, ma per proseguirla.
Non ci sono recinti di certezze in cui rinchiudersi, modelli a cui uniformarsi. Crescere, apprendere ed istruirsi per divenire cittadini della cultura anziché sudditi di una cultura.
Significa partecipare della narrazione compiuta dagli uomini e dalle donne su questa Terra prima di noi, con i suoi miti e i suoi simboli. Cultura che è camminare per la strada della conoscenza, quella strada che ha i punti di sosta ma manca dei punti di arrivo, per questo è una strada che di generazione in generazione prosegue.
Allora la scuola è comunità di destino, destino sempre in viaggio verso il futuro, verso quello che non è conosciuto o che credevi di conoscere, ma non si presenta più come prima. È il luogo del discorso con l’altro, il luogo in cui si iniziano a dare risposte alle domande: “Chi sono io, e chi sei tu?”
A scuola si impara ad imparare, a ricordare, a parlare, a immaginare, a prendere familiarità con i codici culturali, la vita mentale viene vissuta con gli altri. “La cultura” plasma la mente, ci fornisce l’insieme degli attrezzi mediante i quali costruiamo non solo il nostro mondo, ma la concezione di noi stessi e delle nostre capacità.
Nella società della conoscenza non sono i luoghi dell’educazione a mancare, ma i luoghi dell’apprendimento e dell’istruzione, della creazione e della negoziazione dei significati, la costruzione dell’identità e il senso dell’azione personale, l’acquisizione delle abilità simboliche e soprattutto la collocazione culturale di tutta l’attività mentale.
La scuola deve tornare ad essere il luogo dei “temerari della ricerca”, per dirla con Nietzsche, dove si compie il lungo cammino per diventare se stessi. Perché è questa l’essenza della cultura. Ognuno è “un unicum” irripetibile nella storia. Il luogo in cui si esce dalle gabbie dell’educazione per “forzare le gabbie mentali”. L’esercizio dell’apprendimento come liberazione dalle proprie pastoie anziché mero esercizio per fornirsi di membra artificiali, di nasi di cera, di occhi occhialuti.
A scuola è la narrazione della cultura accumulata dall’umanità che continua, affinché la ragazza e il ragazzo, che oggi impiegano il loro tempo migliore sui banchi di scuola, un giorno esplorino il mondo ancora nascosto ai nostri sensi. Siano il neurofisiologo che tenta dei decifrare i meccanismi del cervello inaccessibili all’analisi diretta, l’astronomo che descrive galassie remote, il fisico che studia particelle invisibili, il matematico che indaga le dimensioni quarta, quinta, quelle inimmaginabili e apparentemente impossibili.
La scuola delle donne e degli uomini che vanno oltre, la scuola che in ognuno cura il genio, l’intelligenza necessaria a continuare la narrazione dell’umanità.
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