Una legge etica sancirà la maternità surrogata come reato universale, ovunque essa sia condotta a termine. Etica perché sul versante della forza sanzionatoria pare che sarà pressoché nulla.
I promotori pretenderebbero di colpire ciò che definiscono “turismo procreativo” imputato di produrre ogni anno, tra Stati uniti d’America e India, oltre tremilacinquecento neonati, che sarebbero strappati alle cure di chi li ha partoriti.
Nella realtà la proposta di legge pretende di sancire l’esclusività dello spazio vitale, altri spazi vitali non possono essere presi in affitto.
Non si può mercanteggiare sull’utero femminile. Per i sostenitori della GPA reato universale, evidentemente, le numerose gravidanze di una volta erano il sale della famiglia patriarcale, tutti doni di Dio, nulla a che vedere con lo sfruttamento e la sottomissione della donna, maternità ricercate, desiderio di completezza: non lo fo per piacer mio ma per piacere a Dio!
Perfino il Padre Eterno ha dovuto chiedere un utero a prestito, a lui cosa sarebbe costato alitare su un grumo di fango? Eppure no, è ricorso alla maternità surrogata, costringendo il povero Giuseppe alla parte di padre supposto e ad avviare le pratiche per l’adozione.
Resta il fatto che tutti nasciamo da qualcuno, ma a morire provvediamo da soli.
Per nascere serve una placenta e la placenta si forma solo nella donna e solo con la gravidanza.
È un organo provvisorio, transitorio, una volta terminata la sua funzione viene espulsa, e solo dopo la nascita del bambino.
Con l’espulsione della placenta ha termine la memoria della gravidanza, nulla resta della memoria intrauterina.
La memoria inizia solo ora, quella episodica e quella semantica.
Una memoria che prende origine dall’attaccamento, dall’attaccamento a chi si prenderà cura del neonato, ai suoi caregiver.
Ai più sfugge che all’origine della genitorialità non sta la gestazione nel ventre materno, bensì l’attaccamento.
La genitorialità è di chi nel momento del passaggio dal certo dell’intrauterino all’incerto dell’extrauterino accoglie la nuova vita nel calore delle sue braccia, unisce ai suoi battiti i battiti del proprio cuore.
È dall’attaccamento, dalla sua natura, che nasce il sentimento che porta alla conoscenza peculiarità dell’essere umano approdato alle rive della vita.
I sentimenti positivi e quelli negativi, la conoscenza positiva e quella negativa, in una continua ricerca di equilibrio, di omeostasi tra il sé e il fuori di sé.
Sono state scritte pagine di letteratura dal seno buono e seno cattivo di Melanie Klein, alle ricerche sul ruolo dell’attaccamento di John Bowlby.
Ma la scienza si sa è il prodotto di paradigmi e se il paradigma non è quello che serve alla propria battaglia di pre-giudizi, di con-vinzioni, utile per giungere a vincere, allora non è scienza, dunque è meglio l’etica, quella che ognuno si con-feziona, quella che ci si fa da sé.
Comunque stiano le cose è un dato di fatto, di cui occorre prendere atto, che spazio vitale, il ventre della donna, e spazio genitoriale, allevare e crescere, non coincidono, o, per lo meno, non è detto che debbano coincidere.
Non è che lo spazio vitale sia automaticamente spazio genitoriale, se lo diviene lo diviene solo attraverso il processo dell’attaccamento e non della gestazione.
È l’attaccamento che sta alla base della costruzione della genitorialità. L’ha spiegato bene da tempo al mondo intero John Bowlby che ogni neonato sviluppa un forte legame di attaccamento con chi si prende cura di lui, non necessariamente chi l’ha partorito, pertanto può coinvolgere addirittura intere comunità come l’antropologia ha osservato in culture altre da quella occidentale, culture dell’Africa e dei paesi sudamericani.
Ci sono state poi le scimmiette dei coniugi Harlow che una volta sazie, al biberon preferivano il calore accogliente di una “mamma morbida”: pezzi di stoffa o di spugna.
Gli esperimenti dei coniugi Harlow hanno dimostrato come nei neonati al soddisfacimento dei bisogni primari prevalga il bisogno di protezione, di calore, di accoglienza, di accudimento.
Lo spazio vitale che fa della donna una semidivinità in quanto unica in grado di donare la vita, non la rende tuttavia detentrice dell’esclusività genitoriale, che non appartiene alla donna come non appartiene all’uomo, ma è solo di chi si assume la cura di crescere ed allevare, di levare da terra e portare in alto.
Ma è solo nella esclusiva della donna, che nessuna legge, universale o meno, può limitare, decidere di scegliere come usare lo spazio vitale di cui la natura le ha fatto misterioso e affascinante dono.
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