La scuola è sfinita

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Il problema della scuola è la scuola. Ma se la soluzione non è la descolarizzazione della società certamente è quella della descolarizzazione della scuola, salvare la scuola da se stessa. La Scuola è sfinita è l’ultimo lavoro di Maurizio Parodi pubblicato da La Meridiana di Bari.

Una scuola estenuata, esausta, una scuola che non sopporta o meglio non supporta più i suoi studenti per l’incompatibilità crescente tra loro  e il nostro sistema formativo.

Questa nostra scuola sarebbe perfetta se solo fosse senza gli studenti o per lo meno frequentata solo da quelli con essa compatibili, probabilmente tutti quelli che della scuola non avrebbero bisogno e che comunque la scuola non  riuscirebbe a rovinare.

È saltata la compatibilità con il suo sistema, la sua organizzazione, il suo funzionamento, se mai c’è stata. Ognuno al suo posto: le classi, gli insegnanti in cattedra, gli alunni dietro  ai banchi, gli orari che scandiscono gli ingressi e le uscite, il succedersi dei saperi impacchettati nelle singole materie, ora per ora, anno per anno, i compiti, i voti, le interrogazioni, tutto perfetto. Salvo che tutto giri senza intoppi, che tutto sia compatibile con il sistema, diversamente bisogna prevedere le integrazioni, i bisogni educativi speciali, le certificazioni e incominciano le entropie.

Non è una novità lo sappiamo da tempo, lo sanno da tempo tutti quegli insegnanti che ogni giorno lavorano con passione controcorrente, nonostante la scuoia, lavorano perché sentono il peso della responsabilità della loro relazione di adulti formati con ragazze e ragazzi che in quanto adolescenti ancora non sono adulti.

Se la scuola non funziona non è colpa delle nuove generazioni, la responsabilità è di una scuola vecchia di due secoli rimasta pressoché identica a se stessa, mai riformata perché mai deformata come la regola dei monaci Certosini. Un’istituzione totalizzante alla Foucault, come le caserme, le carceri, gli ospedali. Dove codici, norme, regole, prassi annullano le persone, le individualità, le differenze, per appiattirle, per omologarle, cosa grave quando si tratta di ragazze e ragazzi che devono crescere, per dirla con Gordon Childe devono creare se stessi.

Ma nessuno si gira a guardare indietro, a guardarci dentro a questa scuola, a farne l’ecografia  con spirito di osservazione ed esperienza sul campo come fa Maurizio Parodi che nella scuola ci ha messo la vita, vi è entrato a sei anni e come tanti di noi, dalla scuola non è più uscito. Con pensiero riflessivo scrive della quotidianità delle nostre scuole, delle liturgie che in esse si celebrano, dei loro riti come fossero chiese, in cui ogni giorno l’insegnante sale in cattedra come il sacerdote all’altare e gli alunni come i fedeli nei banchi ad assistere alla celebrazione con gesti e condotte stereotipate.

Alla diagnosi Parodi accompagna la terapia a base di ricostituenti pedagogici. 

Innanzitutto praticare lo sguardo ecologico per una “conversione ecologica” quella che ci ha insegnato Gregory Bateson con il suo Verso un’ecologia della mente. Una conversione ecologica mentale di chi pratica per mestiere la cultura e l’insegnamento. Un’ecologia scolastica nel senso di praticare l’ecologia degli ambienti di apprendimento. La capacità di rimettere in discussione i nostri costrutti mentali intorno alla scuola e ai processi di insegnamento/apprendimento. Come funziona il pensiero umano e come funziona la didattica scolastica non vanno d’accordo, non sono mai andati d’accordo. 

La conversione ecologica richiede una rieducazione del pensiero, nel nostro caso del pensiero intorno ai saperi, alla scienza, agli insegnamenti per come sono da sempre accreditati dalle nostre scuole nella loro parcellizzazione e frantumazione a partire dalla formazione dei docenti per finire  ai contenuti confezionati nei libri di testo dall’editoria scolastica.

In questo senso si deve parlare di una conversione ecologica delle nostre scuole per liberare i nostri sitemi formativi dai pregiudizi cognitivi su cui si reggono. 

Parodi li elenca con precisione a partire dalla convinzione che l’unico sapere autentico è  quello formale che si apprende a scuola. Per apprendere bisogna disporre di ambienti “asettici” come le aule dove il silenzio della classe e l’assenza di stimoli esterni enfatizzano il valore della lezione e della parola dell’insegnante. Varcata la soglia della scuola gli alunni sono tutti ugualmente ignoranti, tutti non diversamente competenti. L’insegnamento si caratterizza per segmenti di trasmissione delle conoscenze alla classe, prevalentemente attraverso la parola. Durante la lezione  le informazioni “transitano” dal docente-soggetto al discente-oggetto. La persistenza degli apprendimenti è proporzionale alla quantità di insegnamento, più si insegna più qualcosa resta. Così tanto più l’alunno ascolta, tanto più impara. Solo correggendo e facendo ripetere si possono ottenere risultati positivi. La conoscenza è frutto di studio, e lo studio può essere solo fatica, rinuncia, sacrificio. Quello che si fa a scuola non può essere piacevole, perché un’attività piacevole non può essere cognitivamente significativa e didatticamente apprezzabile. La memoria è fondamentale, infatti l’apprendimento consiste nella memorizzazione di nozioni e la conoscenza è il risultato di un processo lineare e cumulativo.  Ogni studente è responsabile dei suoi risultati perché la padronanza del sapere scolastico dipende, in massima parte, dalla volontà dello studente. 

Nonostante il nuovo millennio, l’evoluzione e la diffusione dei saperi e la conseguente  perdita di centralità da parte della scuola come unica detentrice del sapere, su simili convincimenti, occulti, inconsapevoli o meno continuano a basarsi i processi formativi dei nostri giovani nelle nostre scuole.

È possibile difendersi? È possibile guarirne? Parodi  indica con chiarezza la strada, la strada del professionista riflessivo, che dovrebbe essere chiunque lavora nella scuola, chiunque ha a che fare con le persone a prescindere dalla loro età, ragione di più se l’età è quella della crescita e della formazione.

È necessario avviare processi di autoanalisi, scrive Parodi, possibili solo laddove docenti e dirigenti dichiarino la propria disponibilità a mettersi in gioco, ad acquisire distacco critico verso la propria professionalità con lo scopo di innescare processi di cambiamento che coinvolgano tutti gli operatori scolastici.

Le aree su cui lavorare sono essenzialmente tre: l’area epistemologica-scientifica, l’area pedagogico-didattica, l’area etico-sociale, per ciascuna di queste aree Parodi fornisce gli indicatori di qualità ecologica per favorire la riflessione sul senso del fare scuola oggi.

Per questa scuola sfinita l’unica terapia possibile per vincere i propri morbi è la conversione ecologica del sistema e delle menti che vi lavorano, non servono psicoterapeuti ma una cultura nuova, una cultura metacognitiva, capace di ripensare radicalmente se stessa.

Non è la strada che pare sia stata intrapresa dai decisori politici, neppure da suoi operatori che sembrano sempre più innalzare baluardi in difesa della propria fortezza.

Ma la scuola ci dice in definitiva Parodi è la questione democratica per eccellenza, è una questione di trasparenza, di accountability, di bilancio sociale a cui non ci si può sottrarre a partire da chi opera al suo interno.

Scuola e democrazia camminano di pari passi ce l’ha insegnato Dewey più di un secolo fa, se viene meno la scuola per tutti viene meno la democrazia e in giro non mancano i teorici della scuola per pochi e della democrazia come una roba vecchia e costosa.