Il giardino delle idee
Intendiamo la città che apprende come un ambiente che innesca e consente un flusso intenso, continuo, ricco, vario e complesso di occasioni di apprendimento.
Nella letteratura sull’argomento “apprendimento” è un’esperienza umana spontanea o programmata in cui la conoscenza viene scoperta, creata, nutrita, scambiata e trasformata in una nuova forma. Esiste un ciclo della conversione del sapere in apprendimento, costituito sostanzialmente di quattro momenti: socializzazione, esternalizzazione, combinazione e internalizzazione.
Nella città della conoscenza l’apprendere avviene all’incrocio di persone, luoghi, processi e finalità.
In sostanza il momento dell’apprendimento è un dialogo tra persone in un luogo particolare, tramite processi strutturati o non strutturati indirizzati ad uno scopo esplicito o implicito.
Francisco Carrillo, Knowledge Cities, 2006 (adattamento)
Ci sono diversi modi per esplorare e comprendere una città che apprende, usando come lente la scoperta delle occasioni di apprendimento che possono cadere sotto i nostri occhi. Visitare una città, vagando per le sue strade, anziché alla ricerca di monumenti o di testimonianze storiche, per osservare ciò che accade intorno a noi, per individuare momenti tipici o eccezionali di apprendimento e di conoscenza.
Ancora, se si avesse l’opportunità, seguire diverse persone per un giorno, scoprire come trascorrono la loro giornata e come la vivono. È un tempo pieno di occasioni di apprendimento? La città fornisce loro l’opportunità di questi momenti? Seguire per un intero giorno o per una settimana uno specifico luogo di conoscenza. Il posto è pieno di occasioni di apprendimento? Crea nuovi saperi, condivisione, scambi, scoperte, trasformazione in valore? Seguire uno specifico processo di conoscenza. Chi è coinvolto? Chi non è coinvolto? In quali luoghi si svolge? Che scopi si propone?
Sostanzialmente, una città che apprende è un collage complesso di momenti di conoscenza, tra loro interconnessi che riflettono la realtà dei cittadini. Peter Cook in The City, Seen as a Garden of Ideas(2004), propone la metafora della città come giardino delle idee.
La città di Zarpom
Per molte generazioni la città di Zarpom ha goduto di una certa prosperità economica, accompagnata da stabilità sociale. Negli ultimi due decenni del 20° secolo la sua tradizionale base industriale è stata rapidamente erosa e il processo di ristrutturazione prodotto dalla globalizzazione dell’economia ha generato problemi occupazionali con la perdita di posti di lavoro, salari più bassi e taglio delle spese. Di conseguenza, mentre è calato il tenore di vita delle persone, sono aumentati gli oneri sociali. Le giovani generazioni hanno iniziato a lasciare la città.
Con i primi anni del terzo millennio, il nuovo sindaco, supportato da un consiglio comunale ambizioso, si è impegnato ad invertire questo trend di impoverimento urbano. Hanno creato una nuova strategia, che hanno chiamato “trasformare Zarpom in una città della conoscenza”. La città ha sempre avuto strutture e infrastrutture ben sviluppate e una vasta gamma di istituzioni pubbliche. Come parte della strategia di cambiamento molte di queste istituzioni ora operano come “luoghi di apprendimento”: la biblioteca comunale, il museo d’arte, la borsa, le scuole, il municipio, la piazza, il caffè, le famiglie. La mappa qui sotto fornisce una visione schematica della città.
Francisco Carrillo, Knowledge Cities, 2006
Ma la città di Zarpom non esiste. È una invenzione di Ron Dvir, del Future Centers di Tel Aviv, fondatore di Innovation Ecology. L’ha inventata per illustrare l’idea di città della conoscenza.[1] Tuttavia molte delle occasioni di apprendimento di cui parla non sono frutto della sola fantasia, sono accaduti realmente o potrebbero essere accaduti nelle molte città che l’autore ha visitato nella sua ricerca sul significato di città che apprende. Esistono musei, biblioteche, municipi, scuole nella maggior parte delle città, e alcuni di questi sono già sulla strada per trasformarsi in luoghi che consentono e innescano occasioni di apprendimento.
Ma l’idea fondamentale che sta alla base del modello offerto da Zarpom poggia sul principio della crescita insieme, attraverso un denso flusso di momenti che producono conoscenza, tutti gli attori che operano in città concorrono alla sua evoluzione di città che apprende.
Zarpom è stata, dunque, inventata per illustrare una nuova prospettiva, quella della città della conoscenza, come tentativo di descrivere questa idea a partire dalle esperienze quotidiane di ciascuno di noi.
È solo l’inizio
All’alba del secolo delle città che apprendono, stiamo venendo a patti con la consapevolezza che sempre più il destino umano si snoderà nelle città. Stiamo imparando anche che la nostra capacità di plasmare tale destino sarà determinata dalla conoscenza di noi stessi come specie urbana.
Se le città possono essere concepite come sistemi di valori, ci si può chiedere che possibilità hanno di esprimersi come potenziale e come destino umano.
Nella globalizzazione economica le città hanno sostituito gli stati-nazione. La città diviene il milieu del globalismo. Infatti, “l’inevitabilità” ha pervaso la globalizzazione urbana in quanto “l’inevitabilità” è la tradizionale giustificazione finale in mancanza di ideologie.[2]
Dal punto di vista della città della conoscenza come sistema di valori, lo spazio delle possibilità è aperto alle alternative rese possibili non solo sul piano economico o tecnologico, ma sempre più dalla conoscenza e dall’esperienza.
La città è come una pasta sfoglia, un ambiente a molti strati, di molte dimensioni culturali, economiche, sociologiche, scientifiche e tecnologiche. Ma al di là delle potenzialmente infinite combinazioni di esperienze urbane, la sfida vera è saper vivere l’enorme ricchezza degli ambienti urbani.
Questo è il cuore della città che apprende, questa è la logica della società della conoscenza. Da questo punto di vista la storia delle nostre città è solo all’inizio.
[1] Ron Dvir, Knowledge City, Seen as a Collage of Human Knowledge Moments in F.J. Carrillo, Knowledge Cities, Routledge, New York, 2011, pp. 262-290
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