Non rubiamo il tempo a nuovi paradigmi*

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C’è Waterloo e Waterloo

Quando si parla di Waterloo il pensiero corre immediatamente ai ricordi scolastici. Chi non sa che Waterloo è sinonimo di sconfitta, la sconfitta di un impero e di un imperatore. Ma noi non trattiamo della Waterloo belga, teatro del conflitto tra le truppe di Napoleone e quelle del duca di Wellington, piuttosto di una sua mimesis, una cittadina dell’Ontario in Canada, chiamata così nel 1816 in ricordo di quella belga più famosa.

La nostra è una cittadina di circa 120.000 abitanti, con una università che ha più di 20.000 studenti fuori sede. Qui ha sede il Waterloo Global Science Initiative che ha organizzato nell’autunno scorso, tra il 29 settembre e il 3 ottobre, l’Equinox Summit: Learning 2030. Perché 2030?

Perché i 134 milioni di bambini che nasceranno quest’anno allora frequenteranno l’high school, in un mondo prevedibilmente molto differente da quello di oggi. Non c’è tempo da perdere, è necessario che da subito scuola e insegnanti si attrezzino affinché le nuove leve di alunni apprendano l’arte di vivere in un mondo più che saturo di informazioni. Ma il fatto è che la cosa ben più ardua, come osserva Zygmunt Bauman nelle sue 44 lettere dal mondo liquido, è preparare gli esseri umani a vivere una tale vita, perché ciò, prima d’ora, non era mai capitato a nessun educatore.

È per attrezzarsi a questa sfida che l’Equinox Summit ha riunito i maggiori leader in materia di istruzione, i migliori professionisti dell’insegnamento, ricercatori e politici, insieme ai giovani studenti di quelle scuole che nel mondo hanno innovato i processi di apprendimento. Trentatré rappresentanti provenienti da tutti i continenti, espressioni di diverse realtà socioeconomiche: Sierra Leone, Singapore, Finlandia, United Kingdom, USA, Australia e ancora altri.

Se non si interviene subito, anche la nostra scuola rischia d’essere schiacciata da un lato dall’incalzare di saperi e apprendimenti propri del mondo liquido e dall’altro dal persistere del modello di un impero scolastico creato dagli stati-nazione a partire dal diciannovesimo secolo, ancora focalizzato intorno alla crescita economica, allo sviluppo militare, alla formazione del cittadino. Dove più del 90% dei fanciulli del mondo, circa il 20% della popolazione mondiale, è quotidianamente irreggimentato, per una estensione di tempo che varia a seconda dei sistemi scolastici nazionali, in classi aggregate per età dall’istruzione primaria a quella secondaria.

Per questo dobbiamo considerare con attenzione gli esiti dei lavori dell’Equinox Summit della Waterloo canadese, perché possono aiutare il nostro sistema scolastico a prevenire i possibili esiti di una rovinosa Waterloo belga.

 

Recuperare il valore della crescita dei singoli

È il sistema di istruzione fondato sul capitale umano che nel ventunesimo secolo non regge più, perché il divorzio tra quel sistema e i paradigmi del mondo globalizzato è ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Del resto oramai da diverso tempo l’assunzione della crescita economica come misura del progresso umano viene contestata, ci sono economisti, come il nobel Amartya Sen, e anche sociologi i quali ritengono che la felicità umana o, come alcuni ricercatori dicono, il benessere della persona, dovrebbe essere il fine delle politiche sociali. Gli stessi indicatori internazionali sembrano suggerire che la percezione individuale del diritto all’istruzione coinvolge in modo sempre più consapevole ed esteso il diritto soggettivo delle persone ad avere non solo un futuro di lavoro, ma un progetto di vita da realizzare e soprattutto un progetto di vita che sia di qualità, che investe la felicità individuale, la salute e la tutela dell’ambiente.

In particolare di fronte al divorzio tra conoscenze e stili cognitivi che le nostre scuole ancora trasmettono ai giovani e un mondo che muta con una rapidità che non si lascia afferrare, i convenuti all’Equinox Summit canadese hanno disegnato la road map dei cambiamenti percorribili, componendo una prospettiva sull’apprendimento veramente globale e intergenerazionale, convinti che ogni bambino, non importa dove viva nel mondo, possa sviluppare le competenze necessarie alla propria cittadinanza nel 2030. Per non naufragare nella liquidità moderna è necessario ridisegnare di continuo le mappe per orientarsi, fornire ai giovani gli strumenti per districarsi nei prossimi futuri tutti renitenti ad ogni previsione.

Si comprende come nel nostro paese sia divenuto angusto, addirittura soffocante, il discorso sull’istruzione, incapace di liberarsi dalla soggezione al sistema di valutazione imposto dalla Banca Mondiale alle scuole dell’educazione globalizzata. Occorre che sulla formazione recuperi innanzitutto autonomia politica e di pensiero e con esse la capacità di valutazioni e considerazioni largamente autonome, avendo più l’occhio rivolto al valore della crescita dei singoli, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, alle competenze necessarie alla realizzazione del loro progetto di vita, più che agli interessi della crescita economica e sociale del mondo globalizzato. È davvero tempo di nuovi paradigmi per la politica scolastica, soprattutto per il nostro paese che più di altri ha necessità di recuperare sulle numerose stagioni perdute e sui ritardi fin qui accumulati.

È questo il messaggio che ci viene dal Waterloo Global Science Initiative, collocare al centro ogni singolo studente e renderlo protagonista del proprio processo di apprendimento, motivato dal proprio progetto di vita. Ma per fare questo è necessario che la scuola si liberi del vecchio strumentario, incompatibile con percorsi che portino ad acquisire un pensare creativo, indipendente, critico, rigoroso, l’agire in modo collaborativo, nella piena consapevolezza di sé e del contesto sociale. Perché, secondo i convenuti all’Equinox Summit, queste sono le competenze urgenti e irrinunciabili che di norma i sistemi scolastici del mondo dovranno saper fornire per poter attrezzare le nuove generazioni ad affrontare il loro futuro.

 

Cambiare l’architettura scolastica

Il tramonto di ogni ex cathedra, l’innovazione nella relazione tra studente e insegnante, tra studente e adulti esperti, sono la chiave di volta di questo cambiamento. Ma anche gli insegnanti più capaci e impegnati difficilmente potranno riuscire a preparare gli studenti per il ventunesimo secolo lavorando in un sistema scolastico il cui modello educativo è ancora quello pensato per il diciannovesimo. Basti pensare ai guasti che la natura antiquata di questo modello continua a causare, a partire dal nostro Paese che occupa l’ultimo posto in Europa per dispersione scolastica e anche coloro che portano a termine il percorso di studi lo fanno con crescente noia e demotivazione.

È l’architettura scolastica, come tradizionalmente la conosciamo, che deve cambiare. Le conclusioni del summit sono che per raggiungere nel 2030 gli obiettivi più sopra elencati è necessaria una struttura di apprendimento radicalmente diversa da quella tradizionalmente fondata sulle classi, i corsi, gli orari, i voti e gli esami. Si tratta di una strumentazione che deve cedere il passo alla centralità dello studente, al piacere di studiare, alle sue motivazioni, al percorso di apprendimento scelto, a una struttura di questo percorso flessibile, creativa, più corrispondente alle modalità di apprendimento dei giovani oggi.

Realizzare, dunque, la diversificazione dei percorsi di apprendimento rispetto alle motivazioni e agli obiettivi dei singoli. Non più classi. Alle classi si sostituiscono gruppi fluidi, mobili, di differente composizione, gruppi che si costituiscono per obiettivo, gruppi la cui scelta e formazione è dettata dalle esigenze dello studente in quel particolare momento. In questo modo scompare l’aggregazione di classe per età anagrafica, perché spesso questi gruppi possono combinare studenti di età differenti, di differenti livelli di apprendimento e di differenti interessi. I gruppi lavorano chiedendo consigli e sostegno a insegnanti diversi, ad altri consulenti come facilitatori ed esperti disciplinari.

Gli insegnanti, con altri professionisti dell’istruzione, operano come guide e curatori dei curricoli personali. Sono i partner dell’apprendimento che indirizzano gli studenti a scegliere gli argomenti per uno studio più approfondito a seconda degli obiettivi che si sono dati, a selezionare e valutare le informazioni, a contattare esperti esterni alla scuola, ad agevolare le discussioni.

La conoscenza approfondita e la passione per la propria area tematica sono centrali per il ruolo dell’insegnante, unitamente alla cura costante della propria formazione permanente.

Nel sistema progettato da Learning 2030 i docenti svolgono un secondo compito fondamentale per il successo e l’apprendimento di ogni singolo studente, quello di chi si prende cura, di un caring, di un mentore che è interessato alla riuscita dell’altro. Ogni studente si incontra regolarmente con un insegnante/mentore per discutere gli obiettivi e il percorso di apprendimento, per aiutarlo nel raggiungimento e per monitorarne i progressi.

Non più voti, non più esami. I risultati dell’apprendimento vengono misurati attraverso una valutazione qualitativa delle competenze che documentano l’intera esperienza dello studente, piuttosto che misurare singole e isolate performance.

Queste valutazioni sono condotte in modo collaborativo tra alunno, insegnanti, compagni, genitori e talvolta mentori esterni alla scuola. Si tratta di valutazioni personalizzate che fanno parte del regolare processo di apprendimento degli studenti, dove una particolare attenzione viene riservata alla capacità dello studente di portare a completamento anche progetti complessi. Come risultato gli studenti sanno in ogni momento quali sono i loro punti di forza, dove hanno spazio per migliorare, e come stanno affrontando i loro progressi.

Altro punto di forza scaturito dall’Equinox summit è l’importanza dell’autonomia delle scuole come chiave di volta dell’ambiente di apprendimento del 2030, dove le decisioni sono prese dai soggetti interessati, dai gruppi formati da studenti, insegnanti, amministratori e genitori.

 

L’autonomia per un’educazione progressiva

Qui c’è da riflettere per la politica italiana che in questi anni ha largamente ferito l’autonomia delle scuole, dilazionato la riforma degli organi collegali, inibendo ogni possibile processo di innovazione.

La Waterloo canadese è invece vincente putando al cambiamento a partire da scuole che investono sui loro studenti e sui loro insegnanti, incoraggiandoli a sperimentare con nuove idee, senza temere di fallire. Ciò include l’uso creativo di qualunque tecnologia disponibile. Le tecnologie per la didattica sono esplorate in un cultura che abbraccia la sperimentazione e consente di essere utilizzata come un’opportunità di continuo miglioramento. Ciò si traduce in un sistema di apprendimento dinamico, in evoluzione, in grado di adattarsi alle differenti condizioni sociali e ai continui cambiamenti tecnologici.

Questa è la scommessa su cui l’Equinox Summit invita i paesi del mondo a investire da subito per quanti saranno adolescenti nel 2030, a partire dalla esperienza di quelle scuole che già vanno praticando tutto ciò.

Qui per noi si gioca l’esito della nostra Waterloo, la Waterloo delle politiche scolastiche del nostro paese. Eppure né alla politica né alla scuola mancano le armi giuste per la battaglia. Stanno soprattutto in quella che è stata la più grande e importante riforma che la scuola italiana ha conosciuto con la legge Bassanini, con l’autonomia e il suo DPR applicativo. È riappropriandosi di questo strumento che è possibile focalizzare il cambiamento sui contenuti e sulla vita concreta della scuola, su ciò che si insegna e su come si insegna, sui rapporti, sugli scambi, sui comportamenti che si danno dentro la scuola.

Non possono che essere i professionisti dell’istruzione la forza d’urto di questo cambiamento e la politica deve porli nelle condizioni di poterlo operare, perché la loro professionalità è tale se si esprime nell’esercizio dell’autonomia didattica, organizzativa, di sperimentazione e ricerca. Non dà fiducia vivere in un Paese dove chi ha la responsabilità dell’istruzione dei nostri giovani non si pone o non è posto professionalmente alla testa dei cambiamenti, a capo di quel filone di educazione progressiva e democratica che nella ricerca e nella pratica dell’innovazione didattica quotidiana, fin dagli inizi del secolo scorso, ha sempre anticipato ciò che poi la politica non poteva che tradurre in strumenti di legge a favore della scuola e della sua crescita democratica. Chi vive il rumore quotidiano delle aule sa benissimo che i cambiamenti o nascano dall’interno della scuola o difficilmente incidono sulle pratiche didattiche, difficilmente scendono in profondità e si prestano a divenire condizione diffusa.

In questo anno, in cui ci ha lasciati Mario Lodi, forse l’ultimo esponente di quel filone di educazione progressiva, democratica e popolare, dovremmo riflettere che a non interrogarsi costantemente, a non guardare avanti, a non rischiare non si può che essere sopraffatti dai duri colpi che le sfide di oggi assestano ogni giorno all’essenza stessa dell’istruzione. Sfide, queste sì, capaci di decretare la Waterloo del nostro sistema di istruzione e dei suoi condottieri, la Waterloo delle generazioni che si affacciano ancora con speranza alla nostra scuola.

* Pubblicato nel n. 3-2014 di Rivista dell’istruzione