Cultura e Città

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Il sapere è fuggito oltre i limiti delle istituzioni, ad aprirgli i cancelli è stata l’era digitale che ormai viviamo a pieno titolo. Il passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione ha cambiato il nostro paesaggio da verticale ad orizzontale, dalle ciminiere alle reti.
Il sapere si è decentrato, si è delocalizzato sottraendo l’esclusiva ai centri tradizionali della sua produzione e trasmissione.
Il sapere si è democratizzato, per la prima volta nella storia il libero accesso all’informazione fornisce alla maggior parte delle persone l’opportunità di costruire il proprio paesaggio di apprendimento.
Mentre l’apprendimento varca i confini entro cui era stato relegato dalla tradizione, occorre interrogarsi sul senso dell’esistenza delle nostre scuole, università e istituzioni culturali così come ancora oggi le intendiamo. È il rapporto tra interno ed esterno, tra dentro e fuori, tra incluso ed escluso che va ripensato. Tra il formale e l’informale, tra l’aula e il corridoio.
Occorre ridefinire la funzione del sistema di istruzione formale, caricarlo di sinergie in grado di facilitare nuovi modi di istruire e di apprendere. Le istituzioni tradizionalmente deputate a produrre e trasmettere cultura non hanno più l’esclusiva, ormai da tempo, ma non hanno ancora riconquistato una nuova centralità che le collochi come nodo di riferimento rinnovato nel tessuto degli apprendimenti diffusi.
La flessibilità e l’estensione del digitale, la sua versatilità fisica e spaziale fanno dei contesti educativi formali un territorio dai limiti rigidi e definiti, con due ambiti ben differenti, quando non contrapposti, l’interno e l’esterno. L’interno luogo dell’apprendimento codificato e riconosciuto, l’esterno come lo spazio dell’indeterminazione, della spontaneità, della esplorazione a cui è precluso il riconoscimento da parte del contesto educativo tradizionale.
La città può essere l’interfaccia possibile affinché lo sviluppo dei processi di apprendimento si produca anche in senso fisico oltre i territori formali della conoscenza.
Le istituzioni dell’apprendimento e della cultura abitano un territorio urbano, che è il territorio di vita dei loro utenti, il territorio dove per primo ciascuno di noi ha appreso, prima di esservi separato mentalmente e culturalmente, da una concezione della conoscenza che induce al divorzio tra saperi formali e saperi che formali non sono.
È possibile pensare che l’interno, in certi spazi e tempi, possa essere contagiato dalle caratteristiche dell’esterno. Alcuni luoghi dove tradizionalmente si impara possiedono caratteristiche anche per l’indeterminazione e la spontaneità, come possiamo incontrare nella città spazi capaci di ospitare attività di insegnamento e di apprendimento, tanto nello spazio pubblico come in quello privato possono esistere spazi satellite nei quali possiamo apprendere.
Lo spazio urbano, che si voglia o no, è una grande aula, è un paradigma di spazio per l’istruzione, disegna la città contemporanea sempre più come il marco fondamentale per un’educazione permanente della cittadinanza.
Da un punto di vista spaziale, tutte le istituzioni formative dalle scuole, all’università alle accademie possono intendersi come un sottosistema incluso in un sistema di maggiore entità, la città.
Sono fondamentali, quindi, scenari che rendano possibile un apprendimento per interazione tra città e luoghi dell’apprendimento formale, come realtà di apprendimento urbano, in spazi pubblici, privati, all‘aria aperta o chiusi, effimeri o permanenti.
I processi di insegnamento e apprendimento contemporanei possono avvenire ovunque, l’uso di questi spazi è un’opportunità preziosa d’incontro tra le persone, le istituzioni, i saperi formali e quelli non formali.
“L’apprendimento deve essere accolto come il miglior regalo, e non come un obbligo amaro”, scriveva Einstein ed invitava ad apprendere inseguendo il piacere. L’era digitale offre la possibilità di disegnare una mappa di apprendimento proprio, che ci inserisca in un ambiente educativo di natura collettiva oltre i limiti delle istituzioni.
Dal punto di vista fisico, quest’interfaccia è la città. Come ente complesso, la città offre praticamente infinite possibilità di apprendimento, da un apprendimento informale, vincolato a proposte educative non programmate o istituzionalizzate ad un apprendimento formale o istituzionale. La capacità dei luoghi tradizionali del sapere di accogliere e generare situazioni ambigue capaci cioè di rendere compatibili i due tipi di apprendimento è una delle loro maggiori potenzialità e attrazioni. La città dev’essere cultura e la cultura dev’essere città.

Dove scorre l’apprendimento

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L’apprendimento è un modo di vedere e di abitare il mondo. Si può apprendere esponendosi per anni a fatti, regole, idee, principi e teorie in un’opera di formazione dell’attenzione che ci fa dimenticare i modi più naturali dell’apprendimento, quel modo di vedere e di abitare il mondo che ci caratterizza fin dalla nascita, che è star dentro alle cose e da esse apprendere per interazione, per manipolazione.

L’apprendimento è sempre un processo di trasferimento, ma non consiste nel semplice passaggio di conoscenze da un magazzino di dati ad un altro perché comporta la ristrutturazione funzionale del sistema in cui cade, la coordinazione di diversi domini, l’alterazione del preesistente verso nuovi equilibri.

L’apprendimento è un flusso continuo tant’è che esiste una grammatica spaziale dell’apprendimento che non è solo quella dell’apprendimento istituzionalizzato, per il quale si apprende in loco, nello spazio geografico dell’apprendimento formale.

E quello che c’è fuori, che ogni giorno colpisce i nostri sensi, come lo gestiamo? Si rischia un’esclusione destinata a dimezzare l’umanità di ciascuno di noi. Ma anche quello che è dentro di noi e ci spinge fuori a ricercare, a conoscere, a sapere.

L’apprendimento implica un cambiamento nei modi di vedere, come immersione nella realtà. La realtà ci cambia perché da essa apprendiamo in continuazione, ciascuno di noi è portatore di apprendimenti e nell’interazione con gli altri moltiplica in modo esponenziale la loro diffusione e modificazione. Siamo immersi nell’apprendimento, senza saperlo e senza sapere cosa farne, spesso subendolo anziché governarlo.

Trasferimento, coordinamento e dimora sono i tre aspetti attraverso i quali l’apprendimento agisce su di noi, si appropria di noi, giunge alla nostra mente, s’ambienta e vi abita. L’apprendimento è un processo di eterogenea ingegneria che richiede una serie di materiali, di materie prime, di luoghi di generazione e di diffusione, di movimentazione delle conoscenze.

La città che abitiamo è l’ambiente quotidiano dei nostri apprendimenti, essi nascono e vivono nella rete urbana, ma non lo sappiamo perché i nodi che la formano non sono sensibili dal punto di vista della conoscenza, della sua crescita e diffusione. Hub che non riescono a rivitalizzarsi, ognuno funzionale a sé ma estraneo a un progetto di città che apprende, di città che produce e distribuisce conoscenza.

C’è un apprendere che è di tutti i giorni, che ci aiuta ad esser meno distanti gli uni dagli altri, che ci aiuta a colmare il divario della formazione e dell’informazione a sentirci meno lontani dalla realtà delle cose.

È finito il tempo in cui il sapere si accumulava entro una certa età per essere consumato nell’arco di una vita. Ora il sapere non è mai abbastanza per quanto duri la nostra esistenza.

Non è mai abbastanza se vuoi capire, se vuoi esserci, se non ti basta di comparire, per cui il diritto di apprendere non è un diritto che si esaurisce in un’epoca della propria vita, è un diritto che non ha stagione. Ma se non ha stagione dove e come esercitarlo oltre ai luoghi deputati delle scuole e delle accademie che pongono vincoli di età e di progressione?

Musei, biblioteche, istituzioni culturali, mostre sono depositi, testimoni di cultura, ma non sono apprendimento dinamico, apprendimento attivo, anche perché la loro missione originaria pare essere altra.

Quali sono i luoghi della conoscenza di una città, come si intrecciano, come dialogano tra loro, come far emergere le loro potenzialità di contribuire all’apprendimento continuo, alla formazione permanente dei cittadini? Nessuno è escluso all’appello dalle istituzioni blasonate, alle sale cinematografiche, ai circoli ricreativi, alle associazioni pubbliche e private, alle imprese grandi e piccole, ai parchi e alle piazze.

Ma ci piacerebbe conoscere la narrazione quotidiana degli apprendimenti nella nostra città, la geografia delle occasioni e delle opportunità di apprendere, il tessuto che ogni giorno viene filato senza sapere di poter contribuire alla crescita dei saperi, delle competenze, delle conoscenze della propria comunità, senza sapere di essere un collante prezioso della convivenza cittadina.

Non si tratta di risorse nascoste, si tratta di cambiare paradigma, assumere il paradigma dell’apprendimento e farle emergere, metterle in rete, offrirle all’informazione della gente, secondo un’idea di apprendimento, di percorso che ogni giorno si snoda per la città offrendo le sue occasioni.