La montagna da scalare

L’esperienza pare abbia dimostrato che DAD e liturgie scolastiche di classe non possano convivere. Diversamente non si spiegherebbe come gli studenti siano abili a navigare in rete alla ricerca di informazioni e saperi, e pure riuscire ad apprendere, mentre quando usano la rete per collegarsi alle lezioni di classe si determina una sorte di entropia, di modificazione di stato che rende tutto diverso.

La spiegazione più semplice suggerirebbe che scuola e digitale sono due ambienti di apprendimento differenti, con regole e  liturgie difficilmente conciliabili tra loro.

Ma se apprendimento informatico e apprendimento d’aula sono tra loro irriducibili, merita compiere alcune riflessioni.

Intanto stupisce l’avversione di molti docenti nei confronti dell’apprendimento a distanza, il quale è già una realtà per le tante piattaforme e-learning che offrono un apprendimento misto “blended learning”, di cui pure i nostri docenti dovrebbero avere fruito sia per ottenere la cattedra, sia per mantenersi aggiornati. È evidente che di fronte alla necessità di attivare l’apprendimento a distanza le nostre scuole si sono trovate sprovvedute, né hanno provveduto a ricorrere ai ripari aggrappandosi al mantra della scuola in presenza, mentre mezzo mondo si sta organizzando per rendere la didattica digitale a distanza organica alla implementazione dei propri curricoli.

Fermo restando che la didattica a distanza non è auspicabile per i più piccoli e comunque per ragazze e ragazzi che non abbiano raggiunto un minimo di autonomia nelle pratiche dello studio, essa tuttavia resta un importante strumento di insegnamento/apprendimento capace di abbattere, almeno virtualmente, i muri dell’aula.

Ma ciò che preoccupa è la chiusura culturale che cela l’ostilità ad apprendere non in presenza, come se le sedi dell’insegnamento e dell’imparare fossero precostituite una volta per tutte: le aule delle scuole, le aule delle accademie universitarie, e il sapere fosse il prodotto esclusivo di una relazione personale tra maestro e discente. Un gioco delle perle di vetro, un’evocazione dei Magister ludi di Castalia.

La rivoluzione informatica che avanza inesorabile, che cresce tra le nostre contraddizioni di stupore, timore e diffidenza potrebbe portare ad una condivisione delle conoscenze tra il genere umano tale da preludere ad inattese stagioni planetarie.

Una crescita senza precedenti dei saperi del nostro tempo pone problemi di cambiamento, di trasformazione, di adattamento a nuovi modi di pensare e a nuove mentalità.

Dovremmo evitare, dunque, di trovarci nei panni di Epimeteo, il fratello di Prometeo, di colui cioè che, anziché prevedere, riflette troppo tardi.

Ostinarci a credere che l’apprendimento appartenga ad un solo piano di realtà, quello scolastico ed accademico, continuare a coltivare una cultura scuola-centrica, senza renderci conto che la rivoluzione informatica ha abbattuto le barriere del sapere, cammina nel mondo unendo ciò che è distante,  cambiando verso a ciò che per noi continua ad essere “l’uni-verso”, nel senso di “verso unico”, rischia di portarci fuori dalla storia, di ancorarci al passato. 

Il chiosco informatico di “Hole in the Wall”,  il buco nel muro situato in un quartiere povero di Nuova Delhi, l’intuizione di Sugata Mitra: l’idea che i bambini possono imparare da soli e meglio grazie alle tecnologie informatiche. Noi invece disquisiamo di dad sì, dad no.

Il premio Nobel per la fisica Leon Lederman fa scoprire le leggi della fisica ai giovani delle periferie degradate di Chicago attraverso il gioco, la manipolazione di diversi oggetti, attraverso il coinvolgimento dei differenti organi di senso: la vista, il tatto, l’udito. Tutto ciò in un clima di gioia e di divertimento, vale a dire tutto ciò che vi è di più lontano dall’apprendimento formale della matematica e della fisica. È interessante sottolineare che le più grandi difficoltà di questa operazione sono venute dalla resistenza degli insegnanti: a loro è costato moltissimo abbandonare i vecchi metodi. La formazione dei formatori è stata più lunga e più difficile che il lavoro con i ragazzi.

Ogni aspetto della nostra vita rischia di essere aggravato dal permanere di un sistema di istruzione fondato sui valori di un altro secolo, che determinano uno scarto sempre più marcato rispetto alle continue trasformazioni della nostra epoca. L’istruzione è il cuore del nostro avvenire, poiché il futuro si struttura attraverso l’istruzione che è impartita nel presente, qui e ora.

Apprendere a conoscere, apprendere a fare, apprendere a vivere insieme e apprendere ad essere. Sono i quattro pilastri su cui fondare l’educazione nel ventunesimo secolo, questa era l’utopia educativa nel 1996 del rapporto Delors.

Apprendere a conoscere significa avere un approccio intelligente ai saperi dell’epoca in cui viviamo, a partire dallo spirito scientifico che, tra le più importanti conquiste dell’avventura umana, è indispensabile.

L’iniziazione precoce alla scienza è fondamentale, non si tratta di assimilare una massa di conoscenze scientifiche, ma di apprendere a problematizzare, a non accettare risposte già pre-confezionate. Apprendere a conoscere significa anche non arenarsi negli alvei di un sapere rigidamente frantumato in discipline che poi si riducono a materie, come se questo fosse l’unico modo possibile per imparare. Apprendere a transitare da una disciplina all’altra, produrre contaminazioni, ricavare nuovi apporti e contributi. Essere capaci di stabilire delle passerelle tra i differenti saperi, tra questi saperi e il loro significato per la vita di tutti i giorni; tra i saperi, i loro significati e le capacità della nostra mente.

La crescita senza precedenti del sapere in tutti campi ha moltiplicato la complessità con cui le nostre esistenze devono confrontarsi. Il rischio è che ciò, anziché costituire una conquista a favore dell’intera umanità, porti invece ad aumentare le disuguaglianze e le distanze tra coloro che padroneggiano le nuove conoscenze e coloro che invece ne sono sprovvisti, disuguaglianze all’interno dei popoli e tra le nazioni del mondo.

Questa è la montagna da scalare per tutti i sistemi formativi della Terra a partire dal nostro.

Questo straordinario sviluppo dei saperi qualcuno ha sottolineato che a lungo termine porterà ad una evoluzione paragonabile a quella del passaggio dagli ominidi all’homo sapiens.

Mentre ancora ragioniamo su cosa far studiare e come far studiare le generazioni del ventunesimo secolo, sarà bene che nessuna occasione e nessuno strumento siano trascurati, aprendoci all’idea che tutto intorno a noi oggi si presta ad essere oggetto di nuovi saperi senza che sempre ci sia un magister ludi a vigilare.