Un’altra scuola è possibile ©
di Giovanni Fioravanti
Introduzione
La stragrande maggioranza delle nazioni mondiali ancora individua nella scuola e nei suoi curricoli il mezzo per fornire ai giovani ciò che si ritiene sia necessario per poter competere nel mercato globalizzato del lavoro e nel mondo dell’economia globale.
Nello stesso tempo però le pratiche educative fondate sulla teoria del capitale umano sono oggi sempre più oggetto di critica per i loro effetti negativi sulla qualità della vita delle persone. Il Nobel dell’economia Amartya Sen poco più di un decennio fa esprimeva le sue preoccupazioni circa lo sviluppo di politiche incentrate solamente sulla crescita economica. Nel suo Dévelopment as Freedom egli individua nel tasso di longevità di una popolazione l’indicatore della qualità della vita umana.
In questo quadro la fruizione del diritto all’istruzione per l’integrazione sociale non può più essere considerata una finalità sufficiente. Istruzione e cultura sono sempre più gli elementi indispensabili ad ogni singolo individuo, bambina e bambino, ragazza e ragazzo per poter concretamente esercitare il proprio diritto alla salute, alla felicità, a costruire e realizzare il proprio progetto di vita.
Istruzione, formazione, educazione non sono solo mezzo, strumento, occasione, sono invece parte determinante della qualità del progetto di vita di ciascun giovane. In questa dimensione ci rendiamo conto che lo strumentario delle classi, dei voti, della didattica ex cathedra, degli edifici scolastici riciclati da conventi e caserme, eccetera dovrebbe appartenere da tempo ad un’epoca ormai distante e che l’istruzione amica, esperienza ottimale per ciascuno, appagante richiede di essere vissuta e partecipata con mezzi, spazi, relazioni, strumenti che sono tutti da ripensare con creatività e lena.
Ma ancora una volta l’interesse che sembra prevalere è quello di uno Stato che agisce come l’unico sovrano dell’Istruzione, oscurando le sue responsabilità e quelle della società degli adulti nei confronti delle giovani generazioni che investono tanta parte del loro tempo di vita sui banchi di scuola, ancora con l’illusione che quell’impegno sia necessario per costruirsi il proprio futuro sociale.
Allora è tempo che Stato e Scuola sentano tutto il peso e la portata della responsabilità che hanno nei confronti delle bambine e dei bambini, delle ragazze dei ragazzi di non sprecare, di non bruciare nulla di quel tempo di vita a loro sottratto e di rispondere pienamente di come esso a scuola viene impiegato insieme alla qualità dell’istruzione che giorno dopo giorno viene loro impartita.
Temo che davvero sarebbe il fallimento dell’educazione, se oggi pretendessimo di concepirla solo come attività necessaria a preparare le nuove generazioni alla loro integrazione nelle società contemporanee o future che siano.
Il divorzio tra dove va il mondo e dove va o vorremmo che andasse la nostra vita, indipendentemente dalle nostre personali fedi, convinzioni o visioni escatologiche, è quotidianamente e platealmente sotto i nostri occhi.
C’è la centralità dell’individuo oggi. Di ogni singolo individuo. Con cui dobbiamo fare i conti e alla cui sfida non possiamo sottrarci. La centralità degli individui che vengono al mondo in questo mondo, la centralità degli individui che trascinano e confondono le loro storie negli inusitati flussi dell’immigrazione.
La scuola è al servizio della comunità e del territorio e, primariamente, deve essere al servizio di ogni singolo individuo e del suo progetto di vita.
Non può e non deve accadere che l’istruzione, diritto universale sancito nel 1948, divenga diritto e dovere nella misura in cui lo Stato ha interesse ad essa, prescindendo dalla considerazione dei diritti dell’individuo in sé, per cui la sua natura e la sua organizzazione mutano con il variare delle politiche dei governi che di volta in volta si impadroniscono degli Stati.
Esiste un interesse che è all’origine dello Stato democratico, quello, cioè, di considerare ogni individuo che lo compone come una risorsa, per cui la piena realizzazione di quella “singola risorsa” non può che tradursi nel concreto interesse dello Stato stesso e della sua democrazia.
Anziché porre l’enfasi sulla riuscita scolastica o meno di ogni singolo alunno e organizzare il sistema dell’istruzione in funzione di questa, l’enfasi deve essere prioritariamente collocata nella riuscita dello Stato e del suo sistema scolastico a perseguire il successo formativo di ogni singolo alunno, assunto come risorsa su cui investire per l’avvenire economico, culturale e sociale dello Stato stesso. Lo Stato, così facendo, si assume pienamente la responsabilità del valore del tempo di vita di ogni bambina e bambino, di ogni ragazza e ragazzo, al contempo rispondendo della qualità delle conoscenze trasmesse e della qualità del futuro su cui ognuno può contare, avendo accanto uno Stato amico, portatore dell’interesse per l’istruzione di ciascuno come interesse generale e collettivo.
Ogni individuo diviene scolasticamente titolare dei suoi percorsi di studio anziché di un’età anagrafica che lo colloca nella classe corrispondente o che lo respinge in dietro, rifiutando di riconoscerla, qualora il profitto sia negativo, costringendolo a identificarsi scolasticamente con uno stato che non possiede già più.
Una sfida molto alta per le capacità della nostra scuola e del suo sistema. Si tratta di passare dalla programmazione per contenuti ed obiettivi di apprendimento alla individuazione delle serie di competenze che è necessario acquisire, attraverso un sistema a somma di crediti, per percorrere in progressione i diversi step definiti dai singoli statuti disciplinari per giungere a quella competenza “disciplinare” così come interpretata, ad esempio, da Howard Gardner nel suo Cinque chiavi per il futuro.
In una carriera scolastica pensata e organizzata per percorsi individuali di studio, al fine di valorizzare e investire sulle specificità personali, non ci sono bocciature, ma semmai sbarramenti; verrebbero temporaneamente preclusi i soli percorsi disciplinari per i quali non si sono ancora acquisite le competenze necessarie a proseguire negli studi.
Ognuno avrebbe da spendere per i propri progetti di vita la quantità di crediti acquisiti relativamente alle competenze disciplinari, sia per proseguire negli studi del nostro sistema formativo, sia per competere sul versante del mercato del lavoro.
Viene meno l’idea di una formazione globale e totalizzante, per la quale è necessario acquisire la sufficienza un tutte le discipline dalla ginnastica alla musica, dall’educazione tecnica al disegno al fine di poter proseguire negli studi senza dover tutte le volte star fermo un giro come nel gioco dell’Oca.
Non si capisce perché nella scuola italiana espressioni e strumenti come “Progetto di vita” e “Piano educativo individualizzato” debbano essere riservati ai solo alunni diversamente abili, come se ogni singolo individuo, a partire da noi stessi, non fosse di per sé diversamente abile e non avesse necessità per la sua piena riuscita di persone che lo affianchino e che gli assicurino sostegno. Come se l’esperienza della migliore tradizione pedagogica non ci avesse già edotti, da Decroly alla Montessori, che ciò che è indispensabile per chi è certificato diversamente abile, tanto più lo è per chi è presumibilmente certificato come normo dotato.
Così come si procede, ancor prima dell’avvio dell’anno scolastico, negli incontri tra la scuola e i genitori alla redazione del PEI per gli alunni diversamente abili, altrettanto va realizzato per ogni singolo alunno in modo da giungere, tra la scuola e la famiglia, alla definizione del percorso scolastico in funzione dei crediti che si vogliono acquisire, attraverso la stesura di un compiuto piano di studi individuale, che si traduca in un realistico contratto formativo, impegnativo per le parti che lo stipulano.
In questo quadro, la frequenza scolastica, la collocazione nella scuola di ognuno non sono più identificabili con la classe, ma esclusivamente dipendenti dal percorso di studi che ogni anno voglio portare a termine in funzione dei crediti disciplinari che per quell’anno scolastico mi sono prefissato di conseguire e che se non riuscirò a totalizzare nella loro globalità dovrò in parte mettere in conto nel piano di studi dell’anno successivo.
Ma se si perde la classe, architrave e perno di tutto il sistema scolastico italiano, che cosa succederà?
Non mi sembra che le nostre università, da sempre funzionanti attraverso la frequenza delle lezioni relative agli esami che si intendono sostenere, abbiano mai patito per l’assenza di classi.
Non credo neppure che ne patirebbe il nostro sistema scolastico, se decidessimo di organizzarne gli spazi per laboratori disciplinari e per crediti che si devono acquisire.
Certo assisteremmo ad uno spettacolo a cui nelle nostre scuole non siamo mai stati abituati, vedere, cioè, spostarsi gli studenti, piccoli o grandi che siano, da un’aula all’altra, o meglio da un laboratorio disciplinare all’altro, in funzione dei crediti che devono acquisire come preordinato dal piano di studi individuale concordato tra la scuola e la famiglia.
Ma soprattutto si tratterebbe di una organizzazione del nostro sistema scolastico destinata a non porre più l’accento sui voti e sulle bocciature, sul fallimento dei singoli, bensì sul loro successo formativo, in quanto risorse preziose di uno Stato democratico che investe sulle giovani generazioni, avendo sempre di mira il proprio avvenire.
Uno Stato chiamato a rispondere alla sua comunità di come garantisce innanzitutto l’esercizio del diritto all’istruzione di ciascuno dei suoi giovani, qualunque sia la loro storia e provenienza, a rispondere della qualità del tempo scuola come tempo di vita di generazioni di bambine e di bambini, di ragazze e di ragazzi e, finalmente, della qualità delle competenze acquisite da ciascuno, certificandole attraverso un unico sistema nazionale di misurazione e di valutazione.
Spostare l’attenzione sui contenuti e sulla vita concreta della scuola, a quello che si insegna e a come si insegna, ai rapporti, agli scambi, ai comportamenti che si danno dentro la scuola. In questa prospettiva occorre non tanto un aumento del numero e della varietà delle scuole quanto una maggiore capacità di ciascuna scuola di offrire servizi diversificati e flessibili, che consentano di definire gradualmente e in corso d’opera i propri percorsi di formazione.
Ciò implicherà in molti casi il superamento dell’attuale prevalente distribuzione della popolazione studentesca in classi di allievi che seguono tutti uno stesso percorso didattico.
Qui proponiamo un’idea di fattibilità di quanto fin qui illustrato, si tratta di un’ipotesi accompagnata dalle tabelle che ne dimostrano la possibile realizzazione. Essendo un’ipotesi ha il compito di dimostrare che quello che sosteniamo si può fare in concreto, ovviamente la nostra ipotesi non esclude possibili correzioni e modificazioni, come non esclude che altre ipotesi diverse dalla nostra siano migliori e più fattibili.
L’importante ci sembra avviare una riflessione capace di pensare che la nostra scuola non è condannata a rimanere nei secoli uguale a se stessa e che si può, oltre che opportuno, pensare ad una scuola altra, diversa dalla presente, ad un’altra scuola possibile.
Premessa
Nonostante i numerosi ostacoli che negli ultimi decenni sono stati frapposti allo sviluppo di un discorso nuovo sulla scuola nel nostro Paese, facendoci scontare ritardi i cui risultati ci collocano agli ultimi posti delle classifiche internazionali, qualcosa credo di ormai irreversibile è maturato nella cultura delle nostre scuole.
Penso al rapporto tra saperi e competenze, penso alla necessità di dotarsi di strumenti di misurazione e di valutazione che forniscano importanti dati sul funzionamento del nostro sistema scolastico e dei suoi istituti, penso ad una crescente tendenza a personalizzare i percorsi di apprendimento. Potrei aggiungere altre importanti questioni come il tema dell’autonomia, delle certificazioni, dei debiti e dei crediti, l’etica della rendicontazione sociale e ancora altro. A riflettere, un lessico pedagogico inimmaginabile solo poco tempo fa. Certamente estraneo ai secoli da cui proviene il nostro sistema scolastico.
Ma soprattutto penso al tema dell’ambiente di apprendimento, alla necessità di progettare nuovi ambienti di apprendimento capaci di meglio supportare la formazione e la crescita delle generazioni del 21esimo secolo, penso che non possiamo continuare a ostinarci nel rimanere identici al passato.
Proprio per questo sono personalmente convinto che non è più rinviabile un serio e approfondito discorso sul modo d’essere delle nostre scuole. Non servono scorciatoie e non serve farsi prendere dall’urgenza, a meno che non si sia pienamente consapevoli che l’accelerazione forse può essere utile a recuperare un poco del tempo perduto, ma è ben lontana dall’avviarci verso quel “nuovo” di cui avrebbe bisogno oggi la nostra scuola.
Solo l’evocazione dei temi che sopra ho elencato dovrebbe essere sufficiente a suggerirci quanto essi facciano a pugni con una scuola che sostanzialmente da oltre centocinquanta anni continua a funzionare allo stesso modo. È possibile?
Come sono organizzate le nostre scuole
Proviamo a pensare come sono organizzate le nostre scuole.
In tanto le classi. Le classi si formano per età e di conseguenza anche l’insegnamento è programmato e impartito per età. L’aspettativa è che ad ogni anno scolastico corrisponda una certa quantità di apprendimenti acquisiti nelle diverse discipline del programma.
Chi stabilisce tutto ciò? Le disposizioni nazionali impartite dal ministero dell’istruzione o, comunque, entrate a far parte della normativa consolidata nel tempo.
La scansione annuale di quanto prescritto dalle disposizioni è compito delle scuole e al loro interno dei docenti, sia collettivamente che individualmente.
Potremmo rappresentarlo con un diagramma di flusso:
Per un malato preso a carico da una struttura ospedaliera avremmo un diagramma di flusso simile:
Comune a questi due diagrammi è la partenza, costituta da un capo, da una testa che è una potestà sociale: il Ministero, espressione della volontà politica.
Quindi un luogo fisico, un edificio, una struttura logistica. Il personale che opera professionalmente, l’assegnazione a una frazione o particella della struttura. La fine è sempre l’individuo-persona.
Anche percettivamente si coglie che al di sopra della persona sta sempre dell’altro, dal politico, al fisico, fino ad organi che agiscono. Ad occhio si coglie la subordinazione, comunque la dipendenza.
Per ottenere un bene, un vantaggio, siamo disposti a sottostare a un ordine prestabilito.
Poiché dal macro non possiamo prescindere perché ci contiene e organizza la nostra vita, proviamo a pensare ad un ordine diverso per ottenere lo stesso bene. A noi interessa pensarlo per la scuola.
Una ipotesi potrebbe essere questa:
La prima cosa che si nota è come, così facendo, abbiamo accorciato la distanza tra il Ministero, potremmo dire la politica, e l’alunno, tra la partenza e quella che precedentemente era la fine.
Cosa significherebbe questo in concreto? Significherebbe che il Ministero, cioè l’espressione della politica, deve in primis farsi carico dell’alunno, occuparsi di lui.
Del resto nessuno oggi oserebbe negarne la centralità, ma potremmo osservare, en passant, che la centralità è prevista nel processo educativo, non in quello politico.
Eppure, è forse il caso di riflettere che, se all’accoglienza dell’alunno si antepone la scuola, questa non può che essere burocratica, per cui su tutto prevale il principio della certificazione, della rispondenza, della attestazione, si ricercherà, dunque, una sua collocazione corrispondente ai principi di questa autenticazione prestabilita. È facile comprendere che questo è il primo passo per portare a compimento il tradimento della dichiarata centralità dell’alunno.
L’età anagrafica è un accidente cronologico, non può essere la sintesi della sostanza di una persona. Emerge che ciò su cui bisogna decidere è se deve prevalere la somma degli anni accumulati o l’individuo.
Nel nostro diagramma la scelta è compiuta: l’alunno.
Allora cosa significa nei fatti per l’alunno, entrando a scuola, incontrare gli insegnanti anziché la classe? Prima di tutto essere accolto come singolo, come persona con una storia, che chiede di vivere parte della sua vicenda nella scuola che ha eletto. E la scuola è il luogo dove operano le persone che professionalmente sono preparate per accompagnarlo in questo percorso.
Per fare questo bisogna conoscersi. La conoscenza diviene il primo atto e dovere di ogni accoglienza scolastica. Conoscenza significa incontrarsi, dichiararsi, riconoscersi. Attraverso l’incontro e le dichiarazioni, riconoscere ciò che ogni singolo alunno è e ciò che sono io, e cioè, in questo caso la proposta formativa, la strada che come scuola ti propongo di percorrere insieme.
La Proposta Formativa
Ecco il punto di partenza del lavoro di ogni scuola: conoscere ogni soggetto prima di agire. Dovremmo fare precedere l’accoglienza all’iscrizione e fare assumere all’atto di iscriversi una natura diversa, di cui dirò più avanti.
È difficile, è impossibile? Non credo. Così facendo non si riescono a formare le classi in tempo per l’inizio dell’anno scolastico, con ritardi nella formazione degli organici?
Proviamo a simulare.
Prima di tutto distinguerei tra gli alunni che si iscrivono per la prima volta e quelli che già frequentano la nostra scuola.
In secondo luogo passerei a definire la funzione docente, non più come sancita dall’articolo 395 del T.U in materia di Istruzione, D. Lgs. n. 297 del 16 aprile 1994: «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura […]».
Ma come successivamente descritta dal coesistente articolo 26 del CCNL della scuola del 2009, quindici anni dopo: «La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni […]. In attuazione dell’autonomia scolastica i docenti […] elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico–didattici, il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio – economico di riferimento, […]».
C’è incompatibilità tra i due articoli? Certamente no. Ma il contratto del 2009 esplicita come l’attività di trasmissione propria della funzione docente debba essere interpretata: non è la relazione frontale docente-alunno il perno, bensì la funzione organizzatrice e mediatrice degli apprendimenti propria degli insegnanti.
Su tutto prevale, non la scuola e i docenti, che restano nella dimensione dei mezzi, degli strumenti, delle risorse umane e professionali, ma l’organizzazione e la mediazione degli apprendimenti in funzione della peculiarità di ogni singolo alunno che alla scuola si rivolge. Ciò comporta che a monte la funzione docente si sia esplicata nella traduzione della prescrittività dei programmi e delle indicazioni nazionali in percorsi di apprendimento o, se vogliamo usare un termine più appropriato, in piani di studio.
Cosa significa tutto ciò in concreto? Significa che a priori è necessario sistematizzare i saperi e le competenze proprie di ogni disciplina in un algoritmo. Algoritmizzare i percorsi di apprendimento, sostituendoli alla vacuità delle tradizionali programmazioni didattiche e dei piani dell’offerta formativa. È compito dei docenti di ogni disciplina individuare i saperi e le competenze, temporalizzarli in livelli di apprendimento, assegnando ad ognuno un valore o credito, fino alla certificazione finale del ciclo di studi, primo, secondo, biennio e triennio delle superiori. Il sistema dei crediti, in uso in tutto il mondo e che anche l’Europa ci chiede, dovrebbe essere il meccanismo migliore. Indicare come nel percorso di studi di quella disciplina si procede da un livello inferiore a quello superiore e la somma dei crediti necessari per ogni disciplina alla certificazione del superamento del ciclo di studi.
Ogni scuola così facendo si doterebbe di piani di studi o percorsi disciplinari, dove per ogni disciplina è chiaramente esplicitato, a prescindere da chi sarà il docente:
-
Che cosa si deve apprendere e saper fare;
-
La scala dei livelli di apprendimento;
-
Quanto vale, in termini di crediti, nel percorso di formazione individuale quello che viene appreso;
-
Quando si può considerare concluso il percorso di apprendimento per quella disciplina;
-
Le modalità di verifica degli apprendimenti, gli strumenti di misurazione e i criteri di valutazione.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.